Il perturbante mondo di Diane Arbus
La rivolta di Diane Arbus
“Esordì come fotografa di moda, all’estremo opposto rispetto alle sue durissime immagini di persone apparentemente smarrite e sole” (G. Clarke, "La fotografia. Una storia culturale e visuale").
Il sentimento di oppressione e il bisogno di andare alla ricerca di qualcosa di più non tardò a farsi sentire. Non sapeva quanto avrebbe resistito, odiava gli artifici della moda. “Odiava soprattutto l’opprimente monotonia delle pose, tipiche delle fotografie di moda, le giornate sempre uguali, si sarebbe attaccata a qualsiasi cosa pur di scappare dalla routine” (P. Bosworth, "Diane Arbus. Vita e morte di un genio della fotografia").
Avvertiva nell’anima qualcosa di falso ed un senso di vuoto che alimentavano l’inquietudine e la depressione. Per questa ragione i coniugi Arbus decisero di spezzare il loro legame lavorativo e Diane ebbe così la possibilità di essere libera e poter fotografare quello che voleva. Ma un grosso ostacolo le impediva di ritrarre i volti conosciuti che più la attraevano, la timidezza. Per fronteggiare questa difficoltà si iscrisse al seminario di Alexey Brodovitch alla New School, ma capì che avevano due visuali della vita e della fotografia troppo differenti, incompatibili: “lui sottolineava la coerenza visiva, lei voleva suggerire il mistero dell’esistenza, la sua intollerabilità, e la profonda, segreta vita interiore delle persone” (P. Bosworth, "Diane Arbus. Vita e morte di un genio della fotografia").
L’unico insegnamento che Brodovitch le lasciò e che non dimenticò mai fu: “Se vedete qualcosa che avete già visto prima, non scattate” (P. Bosworth, "Diane Arbus. Vita e morte di un genio della fotografia").
Poco dopo, nel 1958, si iscrisse al corso di fotografia di Lisette Model alla New School. Figura di spiccata personalità, fotografa e pittrice, ritraeva l’America eccitante e terrificante. Fotografava ubriachi, mendicanti sporchi; “definì i suoi soggetti o molto grassi o molto magri, molto ricchi o molto poveri, esagerazioni, estremi. Conosceva l’orrore della carne e non se ne sottraeva” (P. Bosworth, "Diane Arbus. Vita e morte di un genio della fotografia").
Fu per certi versi molto simile a Diane, tanto che divennero molto amiche. Uno dei primi compiti che diede alla classe fu di fotografare qualcosa che non avevano mai fotografato prima, consigliò a Diane di scegliersi un soggetto e lei rispose: “Voglio fotografare il male”.
Il male inteso come il proibito, l’estremo, il terrificante, tutto ciò che riusciva a farla sentire viva. Iniziò a fotografare, cercando di fronteggiare l’estrema e deleteria timidezza che non le consentiva di essere libera di ritrarre ciò che veramente le interessava. Con i suoi ritratti voleva esprimere l’emarginazione e la solitudine di ogni individuo. Androgini, deformi, morti, trans , “era il suo modo di mandare al diavolo “Vogue”, la moda e tutto ciò che è carino.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il perturbante mondo di Diane Arbus
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Informazioni tesi
Autore: | Sara Alfieri |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Culture e Tecniche della Moda |
Relatore: | Federica Muzzarelli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 54 |
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