Il Cibo nell'Arte: percorsi e problematiche conservative
Un nuovo materiale: il cibo
Anche se il dibattito sulle plastiche è sempre acceso e ricco di ricerche e scoperte, quest’ultime non rappresentano le uniche materie “diverse” diventate “normali” per la realizzazione dell’arte contemporanea. Quello che sarà il leitmotiv della nostra trattazione e un interessante punto di indagine è l’utilizzo di materiali organici, in particolare materiali commestibili, riconducibili al cibo. Anche in questo caso la ricerca scientifica può essere un supporto fondamentale per la loro trattazione e conservazione. Come vedremo ci sono stati studi che hanno cercato di utilizzare alcuni metodi conservativi generici provando ad applicarli al mondo dell’arte. Una delle difficoltà maggiori in questo tipo di ricerche è dover creare un facsimile dell’opera, che però ne rispetti tutti i materiali effettivi e ne ricrei la situazione di partenza. Un solo errore nel produrre il facsimile può invalidare completamente la sperimentazione. Le ricerche in campo alimentare, però, sono soprattutto focalizzate a conservare mantenendo inalterate, il più possibile, tutte le proprietà organolettiche dell’alimento fresco. In campo artistico in realtà si cerca di fare generalmente l’operazione opposta: condizione necessaria è mantenere il più possibile la forma esterna dell’alimento, senza preoccuparsi di alterazioni nel gusto o nell’olfatto. Nei casi in cui sia necessario mantenere l’odore o il colore dell’alimento allora dovranno essere condotti studi ulteriori. Dovendone rispettare principalmente la forma, tutte le ricerche che la modifichino non possono essere prese in considerazione: nel caso di opere d’arte, operazioni di normale conservazione alimentare come la messa sott’olio, sotto zucchero o qualsiasi cambiamento di stato fisico non sarebbero accettabili in quanto inciderebbero fortemente sull’essenza dell’opera.
Poiché il miglior momento per attuare possibili tecniche conservative non alteranti è il deposito, si può pensare di agire sull’atmosfera del luogo in cui le opere rimangono per i periodi di riposo, come successivamente vedremo nel caso di studio su Strange Fruit di Zoe Leonard, oppure di porle in celle frigorifero in modo che siano congelati: in quest’ultimo caso tuttavia il problema si ripresenta nel momento in cui l’opera debba essere esposta. Alcune nuove ricerche in campo alimentare hanno sviluppato un metodo che si serve dei raggi ionizzati.
Questo tipo di soluzione fu utilizzata per la prima volta negli USA nel 1943 per sterilizzare gli hamburger e consiste nel sottoporre gli alimenti all’azione diretta di raggi gamma, raggi X o fasci di elettroni.
I trattamenti permettono di:
1. ridurre la carica microbica di alcuni alimenti aumentandone i tempi di conservazione
2. distruggere i parassiti e gli insetti infestanti in alternativa ai disinfestanti chimici
3. inibire la germinazione dei tuberi e dei bulbi
Una delle preoccupazioni maggiori, che ha causato una sua limitata diffusione, è che, secondo alcuni studiosi, i cibi possano diventare radioattivi: questa rimane, però, una paura ingiustificata poiché le radiazioni, limitate nel tempo e di bassa intensità, non vengono assorbite dagli alimenti.
“Sul piano internazionale questo trattamento è particolarmente diffuso soprattutto sui prodotti a base di carne di pollo per combattere e eliminare la Salmonella e una serie di microrganismi patogeni per l'uomo. Nello specifico, in America, l'irradiazione è utilizzata anche sulla carne rossa nella lotta contro la tossinfezione da Escherichia coli” (Mallarino 2012). In Italia invece il DM 30/08/1973 permette l’uso di queste radiazioni solo al fine di bloccare la germinazione. “L’effetto microbicida è dovuto principalmente ad un’azione sul DNA cellulare che una volta danneggiato impedisce alla cellula di replicarsi”. L’utilizzo di questo particolare sistema è molto costoso e in alcuni casi modifica il colore ed il sapore degli alimenti. Per quanto riguarda il suo possibile utilizzo in ambito artistico, sarebbe necessario compiere alcuni studi con determinate opere d’arte per poter comprendere se i costi siano affrontabili e se il processo non alteri in modo sostanziale l’opera.
Oltre alla conservazione per irradiamento si può pensare di utilizzare quella chimica, iniettando particolari sostanze all’interno degli alimenti come antimicrobici, antiossidanti o stabilizzanti che rallentino il decorso della decomposizione.
Le ricerche scientifiche nell’ambito dei materiali rendono questo campo di ricerca sempre dinamico e pronto al sorgere di nuove e eventuali tecniche che possano modificare gli approcci fino ad allora adottati. Per consentire che una scoperta futura possa risolvere un problema attuale si è ritenuto opportuno che le operazioni di restauro seguano la pratica del “minimo intervento”. Così si tampona il problema in modo non drastico né troppo invasivo, lasciando la possibilità alla ricerca di risolvere completamente la questione. Questo atteggiamento nasce negli anni ottanta in America, per contrastare l’over restoration che si stava diffondendo nel paese.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il Cibo nell'Arte: percorsi e problematiche conservative
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Informazioni tesi
Autore: | Matilde Barbieri |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Arti Visive |
Relatore: | Lucia Corrain |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 140 |
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