Il teatro di narrazione. Il recupero della memoria in un racconto collettivo
Oltre il teatro di narrazione
Abbiamo visto come il teatro di narrazione, nel suo senso di svolta e insieme di ritorno, abbia mutato la morfologia del panorama teatrale italiano, aprendo la via a molte e diverse esperienze artistiche in cui la narrazione si pone come pratica istintiva; siamo di fronte ad uno scenario multiforme che cambia velocemente, dopo un iniziale incremento degli spettacoli monologici, e si intreccia a letture d’autore, spettacoli comici, monodrammi, letture drammatizzate (che hanno visto in prima linea la stessa Curino), musica, anche come conseguenza ai sempre più esigui fondi statali destinati alla cultura, anche se non si può ridurre il tutto ad una questione di soldi, ovviamente.
Fino ad ora ho cercato di descrivere la genesi e le caratteristiche del teatro di narrazione come esso si mostrava allo stadio iniziale, tentando di coglierne le idee ispiratrici e le linee guida; tuttavia, di fronte ad una tale esplosione di esiti, viene da chiedersi se tutto questo mio discorso possa essere ancora valido al giorno d’oggi. Detto in parole povere, esiste ancora un teatro come quello che ho descritto o l’evoluzione è stata così repentina da meritare nuove considerazioni a proposito dei percorsi narrativi teatrali?
Sicuramente è doveroso, da parte mia, un aggiornamento sulle tendenze più recenti che coinvolgono la nuova performance epica, com’è stata definita da Meldolesi e Guccini, che ricordo identifica le numerose possibilità narrative che colui o coloro che raccontano qualcosa a qualcuno decidono di attuare, mediando le diverse tecniche con il proprio vissuto, poiché «il ‘teatro narrazione’ è […] solo un insieme delle nuove modalità epiche, che si presentano come un arcipelago di tendenze già varie al loro interno»; ne abbiamo già avuto un assaggio nel capitoletto dedicato alla seconda generazione, che frammenta ulteriormente le tipologie di questo genere teatrale, e in quello dedicato al teatro civile e politico.
A voler guardare più attentamente, si scoprono
autori che leggono, autori che indagano, attori che leggono e specialisti della lettura, attori che interpretano parti di narratore, comici e protagonisti della satira che, più o meno espulsi dal piccolo schermo, animano un ‘teatro informazione’ alternativo al circuito ufficiale delle notizie.
La figura del narratore, in effetti, si presta poco all’etichettamento statico, mentre invece è predisposta alle declinazioni comiche, tragiche, giornalistiche, biografiche, in un continuo equilibrio tra realtà e fiction, ma con il punto fisso costituito dal rapporto diretto tra performer e pubblico.
Oggi il teatro di narrazione non è un unico percorso (né lo è mai stato, d’altronde), ma si dirama in molteplici sentieri di pratiche sì molto popolari, ma che però rischiano di sminuirlo e di farlo apparire come «fortunata emergenza d’una modalità diffusa anziché invenzione di teatro». La questione è complicata, oltre che dalla versatilità della materia, anche dalla sua giovane età, per cui ancora poco è stato fatto per acquisirne la complessità. Certo la denominazione di Meldolesi e Guccini permette, se non altro, di definire un insieme di modalità performative basate su «una teatralità di sintesi fra corpo e linguaggio, individuo e comunità, memoria e presenza» che segue il modello narrativo.
Giusto per dare un’idea della vasta gamma di artisti che scelgono di rivolgersi direttamente in prima persona al proprio pubblico e usano il discorso invece della riproduzione mimetica, ecco alcuni nomi, dati direttamente da Fo, che abitualmente non sono accostati al teatro di narrazione, eppure ne riproducono alcune scelte sceniche e drammaturgiche.
È il caso di Roberto Benigni e del suo monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia, scritto nel 1975 con Giuseppe Bertolucci, in cui il famoso attore interpreta il Mario del titolo e rievoca così la sua esistenza tramite il discorso, stando in piedi e con le mani in tasca per tutto lo spettacolo; tale personaggio ricorre anche nella sua produzione successiva e solo negli anni Ottanta Benigni si impegna in perfomance in cui appare senza una maschera mediatrice, usando persino il suo cognome per intitolare questa serie di monologhi (Tuttobenigni).
Il secondo nome è quello di Beppe Grillo che, allontanato dalla televisione per una battuta pungente sul partito socialista proprio quando Craxi era Presidente del Consiglio, gira l’Italia con alcuni monologhi di grande successo incentrati sui meccanismi economici corrotti che regolano la vita politica e sociale. Durante questi spettacoli, dismessi gli abiti comici, racconta con occhio critico una realtà che tutti conoscono ed elabora «una sorta di teatro-giornale» dai toni educativi più che di intrattenimento, anticipando le analoghe esperienze di Roberto Saviano e Marco Travaglio. In questi casi, alla base, vi sono mesi di ricerca documentaria e incursioni nei luoghi interpellati, in cui si cerca un contatto diretto, ed infine, le informazioni raccolte vengono condivise con il pubblico, secondo un procedimento molto personale; in Grillo esse esplodono in un racconto non cronologico che segue le libere associazioni di idee di questo performer, la cui fisicità sul palco (o in piazza) è dirompente e ricorda quella di un predicatore sul pulpito.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il teatro di narrazione. Il recupero della memoria in un racconto collettivo
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Informazioni tesi
Autore: | Chiara Vitali |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Parma |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Giornalismo e cultura editoriale |
Relatore: | Marco Deriu |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 134 |
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