La fortuna critica italiana de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli
Mario Monicelli: l’arte della commedia
Mario Monicelli nasce a Viareggio il 16 maggio 1915, figlio di Tomaso Monicelli, celebre giornalista e critico teatrale.
Il giovane Mario ha così l’occasione di conoscere e frequentare grandi personalità della letteratura e dello spettacolo; in questo ambiente fortemente intellettuale Monicelli cresce, viene stimolato e muove i suoi primi passi verso il mondo dello spettacolo.
L’esordio cinematografico come regista avviene nel 1934, quando Monicelli gira insieme al cugino e amico Alberto Mondadori, il cortometraggio Cuore rivelatore, cui fa seguito il mediometraggio muto, I ragazzi della via Paal che vince il primo premio nella sezione "passo ridotto" della Mostra del Cinema di Venezia.
A questo punto le porte del cinema professionale si aprono a Monicelli che, nella seconda metà degli anni Trenta, inizia a lavorare come aiuto regista, mentre, nel 1937, con lo pseudonimo di Michele Badiek dirige il suo primo lungometraggio, Pioggia d’estate.
Dopo aver conseguito, a Pisa, la laurea in storia e filosofia, nel 1940 entra nella cavalleria dell’esercito e vi rimane fino al 1943. Scampato ad un’improbabile carriera militare, grazie all’amico Riccardo Freda conosce Stefano Vanzina (in arte Steno) con il quale scrive il film di successo Aquila Nera, per la regia dello stesso Freda.
Tra il 1945 e il 1955 Monicelli è uno degli sceneggiatori più ricercati, grazie alla sua capacità di adattarsi a generi diversi e di lavorare velocemente e con estrema perizia.
Dal 1949 Monicelli e Steno, oltre a scrivere, iniziano anche a dirigere i loro film, firmati in coppia: Al diavolo la celebrità (1949) è una divertente commedia degli equivoci; Totò cerca casa (1949), secondo incasso della stagione cinematografica italiana 1949-50, utilizza in chiave quasi neorealistica il popolare comico, con una storia ambientata tra gli sfollati del dopoguerra che cercano disperatamente un’abitazione dignitosa.
Nella collaborazione con Steno è attribuibile a Monicelli un’inclinazione più realistica, come dimostra l’impiego di un attore come Totò in una chiave meno surreale e più ancorata alla quotidianità e alle sue problematiche.
Altro straordinario successo della coppia Steno -Monicelli è Guardie e ladri (1951) con Aldo Fabrizi e Totò; un film molto importante nella carriera di quest’ultimo perché dimostra come l’attore napoletano
potesse essere, nelle mani giuste e con i giusti copioni, non soltanto la marionetta disarticolata e dispettosa dei film comici ma un personaggio complesso e concretamente rappresentativo del proprio tempo, di piena umanità e di caldo realismo.
Si tratta del primo esempio di un percorso di sperimentazione verso nuove strade narrative che caratterizzano tutta la filmografia monicelliana. Racconta infatti Monicelli:
Sapevamo di fare un film che voleva dire cose che non erano ancora state dette. […] Una guardia e un ladro, che poi, nella realtà della vita, erano equiparabili sullo stesso piano, perché i problemi che avevano con la famiglia, la sopravvivenza, erano comuni, e quindi, tutto sommato, facevano amicizia e si scambiavano i ruoli […] La coscienza di questo ce la dava la censura, che interveniva a dire che il film non doveva uscire, non è possibile mettere sullo stesso piano una guardia e un ladro, sembrava di rovesciare l’Italia, di fare la rivoluzione, e quindi uno poi si sentiva di aver fatto una cosa rivoluzionaria, importante, e era soltanto il fatto che una guardia e un ladro facevano amicizia. Questi erano i tempi di Scelba.
Seguono Vita da cani (1950), Totò e i re di Roma (1951), che segna l’inizio del sodalizio artistico tra Monicelli e Alberto Sordi, Totò e le donne (1952) e il dramma borghese Le infedeli (1953).
Dal 1953 si interrompe la collaborazione con Steno; l’anno precedente Monicelli gira Totò e Carolina, prima pellicola firmata da solo dal regista viareggino, ma il film esce solamente nel 1955 dopo una lunga vertenza con la censura che impone un numero impressionante di tagli e viene sostanzialmente deturpato e snaturato rispetto al progetto originale.
Sempre nel 1955 esce Un eroe dei nostri tempi con Alberto Sordi e nel 1957 Monicelli vince l’Orso d’argento al Festival di Berlino per il film Padri e figli con Aldo Fabrizi ed una giovanissima Gina Lollobrigida.
Il 1958 è l’anno de I soliti ignoti, grande successo nazionale e non solo, come dimostra la candidatura all’Oscar come miglior film straniero ottenuta nel 1959.
I soliti ignoti è universalmente considerato uno dei risultati più alti della commedia all’italiana e un film di svolta, in cui si impone «un modo diverso di intendere l’umorismo, permeato di acredine e volto all’osservazione disincantata delle miserie umane e sociali».
Con La grande guerra (1959) Monicelli precisa ulteriormente la sua concezione della commedia e del cinema: il racconto di una umanità mediocre attraverso l’uso di «un umorismo dolceamaro che non esclude la tragedia» e di «una precisa volontà di fornire una versione diversa e antiretorica della storia italiana».
Il film, interpretato da Vittorio Gassman e Alberto Sordi, vince il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, ex-aequo con Il Generale della Rovere (1959) di Roberto Rossellini, e viene nominato all’Oscar come miglior film straniero.
Dopo il trionfo degli ultimi due film Monicelli decide di dedicarsi ad un progetto minore come quello di Risate di gioia (1960), tratto da due racconti di Alberto Moravia.
Si tratta della prima e unica collaborazione cinematografica tra due fuoriclasse del teatro di rivista come Anna Magnani e Totò, in quello che Valerio Caprara definisce:
Un inno dolceamaro alla classe di due anziani e disillusi artisti metaforicamente soppressi dal mondo dello spettacolo, disposto a sopportarli con la stessa supponenza che una famiglia di “nuovi ricchi” riserva al parente povero, venuto a mendicare un prestito per ragioni di sopravvivenza.
Il film è anche l’ultimo del sodalizio tra Totò e Monicelli.
Successivamente Monicelli prende parte a due film a episodi: Boccaccio ‘70 (1962), di cui dirige l’episodio Renzo e Luciana, scritto con Italo Calvino e Giovanni Arpino, e Alta infedeltà (1963) per cui dirige l’episodio Gente moderna.
Con I compagni (1963) Monicelli si guadagna la sua prima nomination all’Oscar come miglior sceneggiatore; il film è «un affresco divertito e malinconico sul nascente movimento operaio […] una commossa rievocazione del socialismo torinese agli inizi del secolo».
Per niente in sintonia con l’ostinato ottimismo dell’Italia del boom economico, il film non fu amato in patria, tanto che Luigi Chiarini lo escluse dalla selezione per il Festival di Venezia.
Le successive opere di Monicelli mostrano una analoga tensione smitizzante e attenzione critica verso tematiche come il Medioevo (L’armata Brancaleone, 1966), l’emancipazione femminile (La ragazza con la pistola, 1968), il divario Nord-Sud e l’omologazione del proletariato (Romanzo popolare, 1974), la delinquenza e la violenza urbana (Un borghese piccolo piccolo, 1976).
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La fortuna critica italiana de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Vincenzo Valerio |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale |
Relatore: | Elena Dagrada |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 246 |
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