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Corpo-potere & Corpo-vittima, Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini

Sadismo in Pasolini e De Sade - Il rapporto tra romanzo e film

Il sadismo in Pasolini, come in Sade, ha la capacità di descrive gli stati d’animo che governarono loro in quei determinati periodi storici: per Pasolini, il malessere vissuto nel periodo fascista e nella società consumistica; per Sade è metafora delle ventimila vittime di Saint-Fond e, inoltre, sostituisce un’esperienza negata dalla morale e dal sentimento.
Il sadismo di Pasolini è visibilmente parodistico, grottesco e irreale. I sadici del film non hanno l’energia del vizio, le loro parole non hanno la vita e la malevola trasgressività dei carnefici delle opere di De Sade: nessun corpo può materialmente esercitare tutte le prestazioni descritte dalle opere di De Sade e ciò che nella scrittura del Marchese si trasformava nella irrealtà della letteratura, in Pasolini fa i conti con lo squallore del realismo. La villa di Salò è davvero come il castello di Gilles De Rais, il nobile francese sul quale all’inizio Pasolini pensava di basare un film e che nel quindicesimo secolo sgozzava e violentava i bambini godendo delle loro atroci sofferenze.
Sade immaginò l’unica strage di stato concepibile secondo moduli settecenteschi e aristocratici ed è così che costituì la divisione sociale fra massa da consumare al banchetto dell’orgia e il predominio di una orrenda oligarchia. Nel divino Marchese non è reperibile l’idea di una statolatria, ma il salto al genocidio che si ha quando una società non è considerata portatrice di diritto bensì oggetto di potere. Il sistema del Marchese è il compimento di un metodo che porta alla nascita dell’individuo integrale sovrastante una folla affascinata. Tentò di utilizzare privilegi che aveva ottenuto dal regime feudale a beneficio delle proprie passioni ma il regime, già da allora, era già moderato dalla ragione per opporsi agli abusi che un grande signore avrebbe potuto commettere.
Da privilegiato divenne vittima dell’arbitrio imperiale. Nella sua solitudine, causata dalla reclusione nella Bastiglia per aver resistito al Terrore e dove solo le visioni di un mondo immaginario lo legavano alla vita, concepì quel modo di pensare al solo piacere, e soprattutto al pensiero che gli altri cessassero di contare: “il più grande dolore altrui conta sempre meno del mio piacere”.
Si può constatare come l’eccesso voluttuoso porti alla negazione degli altri affermando che la voluttà è tanto più profonda se nasce dal crimine e che, quanto più grave è il crimine tanto maggiore è il piacere che deriva dagli impulsi sessuali. Il crimine conta più del godimento ed è superiore ad ogni altro perché è l’atto di un’anima che, avendo distrutto tutto, ha accumulato una forza immensa e s’identifica col movimento di distruzione totale ch’essa prepara. Siccome il piacere coincide con il crimine, il suo esercizio non può che impiegare una perenne franchigia.
Ora, questa non può essere garantita se non dal potere assoluto, ovvero dalla riduzione dello Stato a preordinata macchina omicida e, l’esaurimento, dipende soltanto dalla moltiplicazione criminosa. Lo strumento atto a garantire l’impunità è una legislazione che legittimi il delitto e, pertanto, un potere assoluto che permetta la stesura di siffatta legislazione. Non a caso la sovranità dei Quattro libertini è estesa su tutto il territorio sottoposto alla loro giurisdizione; questo è separato dal resto del mondo con la distruzione dell’unico ponte che vi dà accesso. Lo Stato, così facendo, s’identifica con l’assassinio garantito. Tutti i grandi libertini, nonché i personaggi all’interno del romanzo e del film, vivono solo per il piacere e sono grandi solo perché dentro di sé hanno annullato ogni capacità di piacere diventando insensibili.
I protagonisti di Salò, ad esempio, hanno difficoltà nel provare piacere, ma godono nello stesso tempo della loro insensibilità e per questo diventano feroci: la crudeltà altro non è se non la negazione di sé, portata a tali conseguenze, che si trasforma in un’esplosione distruttrice. La vita, per Sade, era ricerca del piacere e il piacere era proporzionato alla distruzione della vita e ai rapporti umani. Secondo il suo parere la vita comunitaria “è inaccettabile in quanto i principi che vi presiedono sono inaccettabili”: in fondo, però, fu la situazione sociale a determinare in lui una distorsione dei principi e perciò lo sbocco non fu il suicidio bensì un annientamento del popolo, della nazione e della specie umana.
Sade aveva la volontà di scaricare la mente dalle ossessioni bestiali della razionalità offesa, Pasolini elimina dalla scrittura di Sade questo senso terapeutico, filmandone alla lettera le descrizioni e trasformandole in immagini grazie al mezzo cinematografico. Questo voleva dire sfidare lo spettatore provocando disgusto e nausea con la realtà riportata sullo schermo e, inoltre, provocare un riscatto delle pulsioni scopiche. Mentre Sade descrisse le sue pulsioni immaginarie e la sua voglia di isolare sé stesso nel mondo sadico, unico mondo capace di renderlo soggetto legato con il mondo esterno, Pasolini, basandosi sul suo testo, rappresentò il potere e la sua voglia di isolare l’umanità per accrescere il suo status tramite torture e, queste, vengono rappresentate non come piacere sessuale bensì come piacere individuale legato alla brama di controllo e comando.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Corpo-potere & Corpo-vittima, Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini

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Informazioni tesi

  Autore: Dania Margiotta
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi dell'Aquila
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: DAMS - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Massimo Fusillo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 88

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