La Criminalità Organizzata in Italia nel secondo Novecento
Il voto mafioso alla DC
La presenza della mafia in ogni campo della vita economica ed il ruolo sociale del mafioso si completano nel rapporto tra mafia e politica: un rapporto la cui esigenza è direttamente connessa con la natura e gli scopi dell'azione mafiosa e rappresenta, quindi, la prosecuzione naturale di un'azione infiltrante, lo stadio ultimo di un processo di penetrazione, che porta a compimento il panorama complessivo dell'inserimento dell'associazione criminale nella struttura della società civile.
La DC non è stato il partito della mafia, come non lo è stato nessun altro partito nella storia d'Italia; e questo per la semplice ragione che la mafia, anche negli anni di maggiore potenza e splendore, non è mai riuscita a condizionare un intero partito politico, neanche a livello regionale. Segmenti di partiti, settori, correnti, uomini più o meno influenti sono stati condizionati. Altri, invece, hanno reagito. È però accertato che ci furono rapporti, cointeressenze, affari in comune tra mafiosi e uomini politici della DC e di altri partiti come il PSI quando entrò nell'area di governo. I mafiosi ebbero la capacità di influenzare scelte e decisioni di carattere nazionale servendosi del rapporto con uomini potenti a livello locale che usavano la loro influenza per condizionare e contare a livello nazionale. Le segreterie nazionali della DC diedero la delega ai democristiani siciliani, campani e calabresi di amministrare a loro piacimento le cose locali purché aumentassero i voti nelle elezioni.
Il partito uscito vincitore dalle elezioni del 1948 era stato la DC e verso di essa inevitabilmente si diressero gli interessi degli uomini di mafia. I separatisti del Mis, dopo una fase intermedia, erano trasmigrati in massa nelle fila della DC. Quando in questo partito crebbe il potere dei fanfaniani, alcuni di loro, in Sicilia come in Calabria, furono appoggiati da esponenti mafiosi. In Sicilia la trasmigrazione fu imponente, e tra i fanfaniani più famosi si trovarono Salvo Lima, sindaco di Palermo, e il suo assessore Vito Ciancimino, a sua volta eletto sindaco di Palermo negli anni successivi, nell'ottobre del 1970, seppur per un brevissimo e contestatissimo periodo. Le trasmigrazioni di Lima e Ciancimino non finirono. Anni dopo, abbandonarono Fanfani quando questi, in accordo con Aldo Moro, avviò la stagione del centro sinistra allargando l'area del governo al PSI. Allora Lima e Ciancimino entrarono a far parte della corrente dell'on. Giulio Andreotti.
In conclusione si può dire che la DC accettò i voti mafiosi per molteplici ragioni, alcuni potremmo dire di carattere ideale, altri per motivi meno nobili. Ci fu sicuramente una ragione generale. I voti erano utili nella lotta al comunismo, perché, secondo i dirigenti di quel partito, servivano ad arginare la notevole forza del PCI che era in espansione, a fermare il cosiddetto pericolo rosso.
A cavallo tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del nuovo decennio, in Calabria si manifestò una nuova tendenza nei rapporti tra 'ndrangheta e politica, che mutarono radicalmente: si approdava ad un ingresso diretto degli uomini della 'ndrangheta, o ad essi legati, nelle istituzioni o nei partiti di governo; ogni cosca tendeva comprensibilmente ad avere un proprio rappresentante in importanti organismi elettivi di enti locali, Regione compresa. Era comunque la DC il partito che appariva maggiormente esposto su questo versante, perché spesso sostenne i propri amministratori compromessi, mentre il PCI, per esempio, seguiva una linea intransigente ormai scelta da tempo: espulse tutti quelli che, in qualche modo, potevano essere compromessi con vicende legate alla 'ndrangheta.
Per descrivere i rapporti tra la camorra e la Democrazia Cristiana, nessun episodio pare più appropriato che il rapimento dell'esponente campano della DC, Ciro Cirillo.
Nella primavera del 1981 i brigatisti di Senzani rapivano a Torre del Greco Ciro Cirillo, assessore campano all'Urbanistica, presidente del comitato per la ricostruzione, ex presidente democristiano della giunta regionale e soprattutto legatissimo ad Antonio Gava, ch'era allora il principale collaboratore politico del segretario della DC Flaminio Piccoli. Protagonisti delle trattative per la liberazione di Cirillo, furono esponenti eminenti della Democrazia Cristiana, funzionari dei servizi segreti, la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, la cui cella nel carcere di Ascoli Piceno diventò il vero tavolo delle trattative, e alcuni detenuti considerati vicini all'ambiente brigatista, tre dei quali furono trasferiti ad Ascoli e posti nello
stesso braccio di Cutolo. Costoro servivano da tramite tra Cutolo e i carcerieri di Cirillo. In cambio della sua mediazione, Cutolo si prefiggeva una forte legittimazione della sua NCO nell'ambiente carcerario, favori e profitti per le sue imprese nei lavori per la ricostruzione e agevolazioni giudiziarie per sé e per i suoi. Nel mese di luglio, Cirillo fu rilasciato dietro un riscatto di 1,4 miliardi di lire. Secondo la motivazione della Corte d'appello di Napoli del 1993, furono "ricollegabili alla grande famiglia della Democrazia Cristiana le trattative attuate con le Brigate Rosse attraverso la Camorra di Raffaele Cutolo".
In breve, i principi adottati dalla Democrazia cristiana per negare ogni trattativa con i carcerieri di Aldo Moro erano degenerati appena tre anni dopo in un compromesso squallido tra partito, criminali e terroristi.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La Criminalità Organizzata in Italia nel secondo Novecento
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Informazioni tesi
Autore: | Gennaro Picano |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi Roma Tre |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Fortunato Minniti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 65 |
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