La rilevanza penale della malattia e del disturbo mentale - Recenti tendenze scientifiche e giurisprudenziali in ordine alla definizione del vizio di mente e dell'imputabilità
Il vizio di mente
Fra le cause di esclusione dell’imputabilità, certamente la più discussa e tormentata risulta essere il vizio di mente, soprattutto in virtù del fatto che la sua nozione si interseca inevitabilmente con quella delle scienze psichiatriche, senza però coincidere con essa.
Occorre, comunque, ricordare che il codice del 1930 nel parlare di “vizio di mente” aveva come riferimento una concezione di malattia mentale per molte ragioni del tutto diversa da quella attuale. Diversa, ad esempio, perché a quel tempo la psichiatria era diversa dalla psichiatria attuale e aveva a disposizione un apparato trattamentale-contenitivo (manicomi, letti di contenizione, elettroshock, ecc.) che non faceva che cronicizzare la malattia.
Ai sensi dell’art. 88 c.p. il soggetto che, al momento della commissione del fatto costituente reato, era in tale stato di mente, per infermità, da escludere la capacità di intendere e di volere, è non imputabile.
Già dalla lettura del dato normativo risulta chiaro che il legislatore italiano ha inteso strutturare il giudizio di inimputabilità su due livelli: un primo livello relativo all’accertamento della causa naturalistica (c.d. fase diagnostica) e un secondo livello relativo all’influenza che tale causa ha esercitato sulla capacità di intendere e di volere del soggetto agente.
A differenza di altre disposizioni del codice, come ad esempio gli articoli 582 o 583 c.p. in tema di lesioni, o gli art. 222 e ss. c.p. in tema di pericolosità sociale, in materia di imputabilità il legislatore non ha utilizzato il termine specifico di malattia, ma il termine più ampio e generico di infermità, infermità che, ai sensi degli articoli 88-89 c.p., deve indurre il soggetto in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere o da farla scemare grandemente.
Ne derivano due importanti conseguenze: anzitutto che l’infermità rilevante ai fini dell’imputabilità non deve necessariamente essere psichica, in quanto ciò che rileva non è l’infermità in se stessa considerata, ma bensì un stato di mente che sia prodotto dall’infermità e che sia tale da escludere o grandemente scemare la capacità di intendere e di volere. Pertanto, se la causa è l’infermità fisica il soggetto affetto da vizio totale sarà prosciolto e quello affetto da vizio parziale si vedrà applicata una riduzione di pena. Le rispettive misure di sicurezza (ospedale psichiatrico giudiziario per il vizio totale, casa di cura o di custodia per il vizio parziale) si applicheranno solo se la causa è un’infermità psichica (o situazione equiparata ex artt. 219 e 222 c.p.).
Dall’altra parte, l’infermità rilevante ai fini dell’imputabilità potrà derivare, non soltanto e non necessariamente, da patologia, ma da qualsiasi stato di alterazione mentale tale da pregiudicare le facoltà mentali del soggetto.
Tale concezione è peraltro in linea con le più recenti evoluzioni delle scienze della mente, nonché con le moderne tendenze di riforma a livello europeo, le quali tendono a riconoscere forza invalidante anche a nevrosi e psicopatie indipendentemente dalla natura della causa.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Eleonora Verdelli |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Michele Papa |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 172 |
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