Le violazioni del diritto umanitario compiute di membri delle operazioni di mantenimento della pace
Le azioni di protezione diplomatica e funzionale
In materia di trattamento degli stranieri, esistono alcuni principi di diritto internazionale generale ormai consolidati. Lo Stato territoriale ha l’obbligo di predisporre misure idonee a prevenire e reprimere le offese contro la persona o i beni dello straniero, equiparandole a quelle che si adotterebbero se si trattasse di un cittadino e adeguandole alle circostanze del caso concreto. Allo straniero non possono essere richiesti comportamenti o prestazioni non giustificabili da un sufficiente legame con la comunità territoriale (che si realizzerebbe con il vincolo di cittadinanza), fatti salvi alcuni limiti relativi a particolari attività o proprietà .
Se lo Stato territoriale non rispetta tali norme, compie un illecito internazionale nei confronti dello Stato del quale lo straniero è cittadino, Stato che può ricorrere all’istituto della protezione diplomatica assumendo la difesa del proprio suddito sul piano internazionale. Prima di agire in questo senso, è necessario che lo straniero abbia esaurito tutti i rimedi previsti dall’ordinamento dello Stato territoriale, purché adeguati ed effettivi, e quelli internazionali efficaci e azionabili dall’individuo.
Esiste un analogo obbligo di protezione nei confronti degli agenti delle Nazioni Unite?
In altre parole, l’Organizzazione può esercitare la protezione diplomatica a favore del proprio agente?
La risposta non è immediata, vista la mancanza di norme consuetudinarie in materia e una prassi decisamente scarsa. Allo stato attuale, si può forse ritenere che un obbligo di protezione dell’agente sussista, ma che le Nazioni Unite possano attivarsi soltanto per il risarcimento dei danni subiti come organizzazione e non anche di quelli cagionati all’individuo in quanto tale: in tal caso, si parla di una protezione meramente funzionale perché la posizione tutelata è quella del soggetto in qualità di agente dell’Organizzazione.
La norma sul rispetto dei cittadini stranieri viene estesa per analogia alle organizzazioni internazionali in virtù dell’equivalenza tra la funzione svolta dall’individuo per conto del proprio Stato e quella in nome dell’organizzazione per cui sta lavorando. Non è invece possibile fare altrettanto anche nel senso del risarcimento dei danni perché il rapporto d’impiego presso un’organizzazione non può essere certo equiparato al vincolo di cittadinanza.
Una volta stabilito che le Nazioni Unite possono ricorrere all’istituto della protezione funzionale, ci si chiede se esista la possibilità di far coesistere le due forme di protezione.
Nel parere del 1949 relativo al caso Bernadotte, la Corte Internazionale di Giustizia ha risposto positivamente alla domanda per l’assenza di una norma generale o convenzionale che stabilisca la prevalenza dell’uno sull’altro tipo di protezione.
Una simile interpretazione può sembrare plausibile a chi ritenga che l’illecito violi nello stesso tempo il diritto dell’Organizzazione di non subire pregiudizi nella persona del suo agente e quello dello Stato di vedere il proprio cittadino trattato in modo conforme alle norme internazionali. Tuttavia, quando si tenga conto del duplice status giuridico dell’agente, la questione si complica perché la ratio del parere impone di ammettere la possibilità che l’Organizzazione e lo Stato siano capaci entrambi di agire facendo valere il danno subito dal loro organo. Infatti, la Corte non si è tanto preoccupata di verificare il possesso della soggettività internazionale in capo alle Nazioni Unite (riconosciuto come il requisito fondamentale per attivare l’azione di protezione), quanto piuttosto ha cercato di stabilire se la procedura per ottenere il risarcimento per un danno inflitto a un agente sia un’attività necessaria all’esercizio delle funzioni delle Nazioni Unite.
Si condivida o meno quanto detto finora, esiste comunque un ostacolo notevole all’effettivo esercizio della protezione funzionale da parte dell’Organizzazione, dato che i meccanismi di risoluzione delle controversie previsti dalla Convenzione sulla protezione del personale del 1994 sono azionabili soltanto dagli Stati. Ciò significa che le garanzie offerte agli agenti sono destinate ad essere oggetto di azioni protettive riservate agli Stati (oltre a quelle già rientranti tra le loro prerogative), rendendo le Nazioni Unite più deboli sul piano internazionale.
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Le violazioni del diritto umanitario compiute di membri delle operazioni di mantenimento della pace
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Bianchin |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Diplomazia e organizzazioni internazionali |
Relatore: | Tarcisio Gazzini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 94 |
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