La scelta tragica e la concezione della colpa: il mito di Edipo e l’Agamennone di Eschilo.
Le fonti eschilee: Omero, il Ciclo e i lirici
Quando Eschilo si apprestava a scrivere l’Orestea il mito sull’assassinio di Agamennone e le sue conseguenze erano già noti grazie all’Odissea, ai poeti epici del Ciclo e ai lirici. Il tragediografo, dunque, si trova dinnanzi ad una tradizione ricca, disparata e contraddittoria; egli, come egregiamente dimostra Moreau, sceglie, elimina elementi dalla leggenda, ne privilegia alcuni e ne inventa altri.
Capire questo lavoro sembra essere essenziale, per comprendere le intenzioni dell’autore. Cominciamo dai miti che trattano dei crimini degli antenati; ci si accorge immediatamente che la storia dei Tantalidi dall’origine al V sec. a. C. è progredita in senso del tutto negativo.
Tantalo, il fondatore della stirpe, è citato per la prima volta nel XI canto dell’Odissea, egli fa parte dei grandi suppliziati degli Inferi.
Anche i poeti lirici, conoscevano Tantalo come il criminale che uccise suo figlio per offrirlo in pasto agli dèi. Pindaro, invece, protesta contro questa versione, e ciò ci fa comprendere che fosse quella più diffusa.
Anche per quanto riguarda Pelope, vi sono due versioni: una infamante ed una gloriosa. La prima narra che Pelope, per avere in sposa Ippodamia, ricorre ad un inganno e provoca la morte del padre della fanciulla, che, morendo, maledice la razza dei Pelopidi. Nella versione di Pindaro, invece, Pelope sposa Ippodamia grazie al suo coraggio e all’aiuto di Poseidone. Nella terza generazione si inseriscono Atreo e Tieste, figli di Pelope, che nell’Iliade vengono nominati come semplici anelli di una stirpe regnante sull’Argolide, e che in seguito hanno acquistato una reputazione infamante, come i loro antenati Tantalo e Pelope. Pindaro, come sempre, si attiene alla versione gloriosa.
I poeti del Ciclo, continuatori di Omero, e i lirici, hanno dunque messo in evidenza in maniera chiara la maledizione che pesa digenerazione in generazione su una famiglia macchiata da un crimine originale; vi è una successione di crimini e di punizioni, fino alla catastrofe finale.
Vediamo adesso come Eschilo si è accostato ai diversi miti: innanzitutto Tantalo non è mai nominato, ma Agamennone e Menelao vengono chiamati Tantalidi al v. 1469 dell’Agamennone. Pelope è citato al v. 703 delle Eumenidi; il nome di Atreo appare sei volte nell’Orestea e quello di Tieste quattro. Eschilo, cioè, insiste sulla generazione precedente a quella di Agamennone e Menelao, ma non racconta i crimini delle generazioni precedenti.
Come Moreau mette in evidenza, il modo in cui Eschilo utilizza le diverse fonti letterarie dei miti che riguardano Agamennone, i Pelopidi e i Tantalidi, ci fa comprendere come l’autore insista sulla responsabilità personale del re. Ciò non vuol dire che Eschilo non faccia riferimento alla maledizione ancestrale che pesa sulle spalle di Agamennone, ma egli non paga per le colpe dei suoi avi, anche se nella sua stirpe vi è un’eredità di tendenze criminali che, in ogni generazione, riattiva il processo crimine/punizione. Vi è sostanzialmente una responsabilità collettiva dei Tantalidi accanto alla responsabilità personale di Agamennone. Eschilo gioca su due piani: non insiste troppo sulla maledizione ereditaria a danno della responsabilità personale, ma non la elimina del tutto.
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La scelta tragica e la concezione della colpa: il mito di Edipo e l’Agamennone di Eschilo.
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Informazioni tesi
Autore: | Rosa Macrì |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi della Calabria |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filologia moderna |
Relatore: | Antonietta Gostoli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 132 |
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