Guerra, vincitori e vinti nelle tragedie del ciclo troiano di Euripide
Le vittime innocenti della guerra: Polissena e Astianatte
Polissena e Astianatte rappresentano, nelle tragedie del ciclo troiano di Euripide, il prototipo dell’innocenza e della guerra subita. Due giovinetti morti ante diem senza motivazioni realmente valide, ma solo per la cupidigia e l’abuso di potere dei Greci.
Polissena è un personaggio femminile per il quale la guerra ha prodotto la più grave e irreparabile alterazione della futura vita coniugale che di certo attendeva la fanciulla. Il suo triste destino coincide con l’estremo sacrificio sulla tomba di Achille, deciso da un voto assembleare.
Euripide sceglie un soggetto troiano in cui pone l’azione all’indomani della presa di Troia per dimostrare che la guerra non ha esaurito tutte le sue conseguenze e non termina con la vittoria dell’esercito.
Quando la giovinetta apprende il suo triste destino erompe in un lamento: ma il suo pianto non è riferito alla sua imminente morte, poiché per lei continuare a vivere da schiava sarebbe “oltraggio e sozzura”, ma alle sorti della madre che vedrà perire anche lei. E così si rivolge ad Ecuba:
vv. 195-215: “ hai sofferto già tanto, hai patito ogni pena, madre dalla vita dolorosa, e un demone ti affligge di nuovo oltraggio, odioso, innominabile. Non avrai più tua figlia, non ti sarò compagna di schiavitù, nella tua misera vecchiaia, io misera. Scannata mi vedrai, come una vitella dei monti, strappata al tuo abbraccio scenderò con la gola tagliata nell’Ade; giacerò al buio tra i morti. Con tutte le mie lacrime piango la tua sorte tristissima; non piango per la mia vita, che è oltraggio e sozzura; morire per me è la migliore delle sorti”.
Successivamente Ecuba prega, invano, Odisseo di risparmiare la vita alla figlia, e in seguito Polissena, ai vv. 342-378, non mostra nemmeno di prendere in considerazione l’invito che le aveva rivolto la madre di supplicare Odisseo ad avere pietà della sua sorte. Fin dall’inizio la principessa assume un atteggiamento di superiorità nei confronti del greco vincitore e lo invita a farsi coraggio e a non temere il corruccio di Zeus protettore delle supplici:
vv. 342-305: “Ti vedo Odisseo, che nascondi la mano sotto il mantello, che giri il volto nella paura che ti tocchi. Non temere: a Zeus che protegge i supplici, di me non dovrai rendere conto. Ti seguirò, perché è necessario, perché voglio morire. Così ho deciso, perché non intendo apparire vile, attaccata alla vita. E perché dovrei vivere?”.
vv. 369-378: “Portami pure via, Odisseo, finiscimi: non vedo speranze né motivo per credere che le cose possano volgere al bene per me.[…] Meglio morire che subire ingiusta vergogna. Chi non ha mai provato le sventure, può portarne il giogo, ma soffre sotto il peso. Una vita indegna è un grande dolore”.
La giovane dimostra che non c’è nessuna ragione perché ella viva ancora: il contrasto tra la passata felicità e il futuro che la attende, se non accettasse di morire, non lascia dubbi in proposito.
La necessità della morte per lei ha una duplice motivazione: Polissena si rende conto che se lei sopravvivesse andrebbe incontro ad una sorte intollerabile per una donna di stirpe regale e il nome stesso di schiava le fa desiderare la morte. In secondo luogo capisce che la forza ormai sta dalla parte dei Greci e che è impossibile contrastare le loro volontà.
Dunque Polissena preferisce la morte alla schiavizzazione: agisce secondo il codice eroico maschile e dà gratuitamente la propria vita di sua volontà. E proprio in ciò si evince il suo atto nobile, il suo comportamento non calcolatore: la nobiltà in lei consiste nell’accettare la morte come solo un eroe guerriero avrebbe potuto fare.
vv. 544-552: “ Argivi, che avete distrutto la mia città, sono io che ho deciso di morire, nessuno osi sfiorarmi! Offrirò la mia gola senza paura. In nome di dio, perché io muoia libera, uccidetemi lasciando libero il mio corpo: sarebbe vergogna, per me di stirpe regale, ricevere tra i morti, il nome di schiava”. vv. 563-565: “ colpiscimi al petto, se vuoi, oppure trapassami la gola: ecco, sono pronta”.
L’eroicità del sacrificio deriva anche dal fatto che la donna non esita a suggerire al nemico di trafiggerle il petto, così come si giustiziano gli uomini: e infatti, è lei stessa a scoprire il seno nudo per far sì che il nemico la possa colpire proprio lì.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Guerra, vincitori e vinti nelle tragedie del ciclo troiano di Euripide
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Informazioni tesi
Autore: | Manuela Mangione |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Palermo |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Andrea Cozzo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 66 |
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