La presunzione di non colpevolezza
Il presente lavoro traccia un profilo generale del principio, sancito dall’articolo 27, secondo comma, della Costituzione, della presunzione di non colpevolezza.
Dopo aver approfondito i motivi, le differenze e le similitudini che intercorrono tra le due formule attraverso le quali si può esprimere tale principio, e cioè: “presunzione d’innocenza” e “presunzione di non colpevolezza”, ne ho seguito lo sviluppo attraverso la sua evoluzione storica, fino alla sua costituzionalizzazione.
Ho scoperto, così, che le prime affermazioni sulla necessità dell’introduzione, nel sistema processuale penale, della presunzione d’innocenza, risalgono al 1764, e sono contenute nelle opere di Pietro Verri e Cesare Beccaria.
Inoltre, la presunzione d’innocenza come regola di giudizio, nasce negli ordinamenti di tradizione anglosassone, nei quali la libertà personale dell’imputato è stata sempre così ben tutelata, che la garanzia della presunzione di non colpevolezza è apparsa del tutto superflua.
Mentre, come regola di trattamento dell’imputato, essa appartiene all’esperienza europeo – continentale risalente al pensiero illuminista e alla rivoluzione francese.
Molto interessante è stato seguire i dibattiti che si ebbero nel nostro ordinamento tra Scuola Positiva e Scuola Classica, prima, e l’affermarsi della Scuola tecnico-giuridica con l’avvento della legislazione fascista, in seguito.
Ma, fu grazie alla Costituzione che la presunzione d’innocenza venne elevata a principio cardine del nostro ordinamento.
Per comprendere come ciò sia avvenuto, e come si è arrivati, poi, all’odierna formulazione, ho seguito lo sviluppo della norma in sede d’Assemblea costituente, e ho analizzato i fondamentali aspetti che ha acquisito il principio nei più importanti trattati internazionali del dopoguerra, come ad esempio: la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, e il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966.
Infine, ho analizzato più approfonditamente, l’articolo 27, secondo comma della Costituzione, sia sotto il profilo della regola di giudizio, che sotto quello della regola di trattamento.
Il primo profilo implica, sostanzialmente che l’inerzia dell’imputato, da sola, non può produrre conseguenze a lui sfavorevoli, poiché, l’adempimento dell’attività probatoria, non costituisce un suo onere, bensì un suo diritto.
Il secondo, invece, comporta che un imputato, anche se in custodia cautelare, non può essere trattato alla stregua di un normale condannato.
Tuttavia, il legislatore ha facoltà di introdurre, nel nostro ordinamento, delle ipotesi circoscritte di misure cautelari automatiche, che esulano la soddisfazione della semplice esigenza cautelare, poiché vanno a colpire reati di particolare gravità.
Ipotesi del genere sono state introdotte, ad esempio, nel campo dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, ex art. 416-bis c.p.p., o per le ipotesi di carcere duro previsto dall’art. 41-bis della legge del 1975 sull’ordinamento penitenziario. A tal proposito, molto interessante è l’ultimo capitolo nel quale affronto la compatibilità di queste norme con la presunzione di non colpevolezza dettata dalla nostra Costituzione.
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Informazioni tesi
Autore: | Giovanna Batia |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2002-03 |
Università: | Polo Didattico di Trapani |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Giovanni Tranchina |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 130 |
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