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La Scuola Apprendisti della Dalmine S.A. dal 1937 al 1948

Ricostruzuione della storia di dieci anni della scuola apprendisti della Dalmine, tra il 1937 e il 1948. Esame di strategie educative, progetti formativi, obiettivi economici umani. Il primo capitolo è dedicato alla scuola professionale in Italia, gli altri tre specificatamente alla Dalmine ed alla sua scuola, raffrontata con altre esperienze consimili (Marelli, FIAT, Alfa Romeo) negli stessi anni.

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1 INTRODUZIONE. La Scuola di Fabbrica non deve essere considerata come un reparto di stabilimento. [...] Essa non è una Scuola come tutte le altre perché permette di realizzare finalmente l’auspicato contatto tra Scuola professionale e Industria. Ma non è neppure un reparto produttivo. Non si possono applicare ad essa […] tutte le norme vigenti per gli altri reparti di stabilimento. Gli allievi non sono operai: i professori non devono essere trattati alla stregua di comuni impiegati. Con queste parole Luigi Ricca e Pietro Ruffoni, rispettivamente docente e direttore della Scuola Apprendisti della Dalmine, definirono, nel 1939. la loro concezione delle scuole interne alle imprese. Essi si riferirono alla propria personale esperienza a Dalmine, iniziata nel 1937, sulla quale imperniarono una teorizzazione a proposito delle scuole aziendali, come luogo dell’incontro necessario tra scuola e mondo del lavoro. Un obiettivo che perseguì, nei medesimi anni, anche Giuseppe Bottai, il ministro dell’Educazione Nazionale, impegnato nella realizzazione del progetto di una scuola ‘corporativa’. In sostanza, fu un tentativo, mai concretizzatosi, di rendere gli interessi economici direttamente responsabili dell’educazione, ciascuno secondo il proprio settore di competenza. In realtà, alcune scuole aziendali precedettero di almeno un decennio i progetti di Bottai: la scuola interna della Fiat sorse nel 1922, quella della Magneti Marelli nel 1925. Non esistono ancora, purtroppo, cifre e studi precisi su queste iniziative, che videro impegnate alcune grosse imprese oltre alle due citate sopra: Edison, Olivetti, Ansaldo e, appunto, Dalmine. Si trattava dell’ulteriore dimostrazione di quanto gli interessi privati contassero nel campo dell’educazione al lavoro. Fin dalla prima metà dell’800, nelle regioni più forti economicamente, e meglio avviate sulla via dell’industrializzazione, sorsero per interesse di borghesi, nobili illuminati e di sacerdoti, scuole e corsi pratici, grazie ai quali giovani, e lavoratori maturi potessero affinare la propria pratica lavorativa. In Lombardia si distinse la milanese Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri (1839), che fece da modello, a Bergamo, per la Società industriale bergamasca (1847). Il ruolo dei privati rimase fondamentale anche dopo l’unità d’Italia, quando per quasi settant’anni le competenze sulla scuola professionale rimasero divise tra due ministeri: quello di Agricoltura, Industria e Commercio (Maic), e quello della Pubblica Istruzione. Il carattere più pratico delle scuole del primo lo fece preferire ai rappresentanti degli interessi economici. In realtà, solo all’inizio del ‘900 cominciò un rapido cambiamento nell’istruzione professionale, che mutò più

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Informazioni tesi

  Autore: Giorgio Scudeletti
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2000-01
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Giulio Sapelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 164

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Parole chiave

storia economica
storia d'italia
storia contemporanea
dalmine s. a.
ugo gobbato
scuole professionali

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