L’effetto placebo nella schizofrenia
Nella scienza farmaceutica contemporanea l’uso del placebo, inteso come sostanza o terapia inerte, è stato applicato a numerosi studi per costruire una condizione di controllo messa a confronto con una terapia farmacologica. Questo approccio ha permesso di scoprire le grandi qualità del placebo in grado, come per esempio nella cura della depressione, di raggiungere un’efficacia, in casi di depressione leggera, maggiore di quella dell’antidepressivo (Kring et al., 2013). I dati hanno innescato una curiosa analisi dell’effetto del placebo in altre patologie dal Parkinson all’ansia sociale, dalla sindrome da intestino irritato alla schizofrenia (Schedlowski et al., 2015; Lidstone et al., 2010; de la Fuente Fernández, 2001, 2002). Se negli anni le ricerche di questo tipo nel campo della depressione sono proliferate, nella schizofrenia hanno trovato più di un ostacolo. Forse a causa della mancata chiarezza sull’eziologia della patologia, che non ha permesso di avere una base solida di partenza, forse per il gran numero di costosissimi trial falliti o forse per i risultati di complessa interpretazione (Agid et al., 2013; Kemp et al., 2008; Rutherford et al., 2014). La domanda che più ha tenuto impegnata la ricerca, a seguito di svariate ricerche (Leucht et al., 2012, 2017), è stata: perché di anno in anno i pazienti affetti da schizofrenia riportano risultati sempre migliori se assegnati alla condizione placebo, mentre non riportano alcuna variazione se assegnati alla terapia farmacologica?
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Informazioni tesi
Autore: | Cecilia Segatta |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2017-18 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Simone Cutini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 39 |
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FAQ
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