Amok: per un abbandono del concetto di culture-bound syndrome
È il 1770 quando il Capitano James Cook approda nelle terre della Malesia. Sarà il primo a descrivere quella furia improvvisa che colpiva alcuni abitanti di quei luoghi. Sarà lui a chiamare tale pratica come "running amok", correre l’amok. Nei suoi diari di viaggio scriverà che «the practice that is called running amok has prevailed in the people from time immemorial» (in Teoh, 1972:345) e trascriverà che in tale evento, l’uomo che veniva preso da questa furia usciva dalla propria abitazione, uccideva tutto ciò che incontrava lungo la sua corsa e che l’unico modo per fermarlo era ucciderlo. E sarà questo l’oggetto della mia analisi di cui tratterò nelle pagine seguenti. Nel primo capitolo partirò dalla sua definizione più generale e condivisa, per addentrarmi in altre definizioni più o meno complete e complesse, che nel corso della storia si sono proposte come rivisitazioni delle precedenti: dall’inizio del Novecento con J. D. Gimlette e R. J. Wilkinson(1901), alla prima e seconda metà del secolo con J. M. Cooper (1934), Pow-Meng Yap (1951), G. Devereux (1973) et al., fino all’inizio del Ventunesimo secolo con R. Beneduce (2007) e M.J. Del Vecchio Goode B. Good (2010). Gli autori a cui farò riferimento, di cui ora ho citato solo qualche nome, proporranno una loro analisi ed interpretazione dell’amok. I primi studiosi che citerò, basarono le proprie teorie su casi studiati presso il popolo malese: andrò quindi ad esaminarne il contesto sociale, legislativo e culturale. L’educazione gioca un ruolo fondamentale nella formazione sociale di un individuo, da come esso imparerà a relazionarsi con il mondo esterno e attraverso cui assimilerà delle norme sociali prestabilite. In seguito analizzerò brevemente la concezione malese del mondo, nel quale la religione riveste un ruolo essenziale per la definizione di comportamenti ritenuti appropriati e inappropriati. Il campo di studi nel quale rientra il concetto di amok è l’etnopsichiatria, perciò rilevante sarà osservare come la malattia, che sia psichica o fisica, veniva concepita dal popolo malese. Successivamente tratterò di autori i quali hanno voluto allargare il campo di analisi e tentare una comparazione con fenomeni, aventi le medesime caratteristiche, avvenuti in altri Paesi come in Laos, Papua e Nuova Guinea fino ad arrivare all’Occidente. Nel secondo capitolo invece, partirò dalla rappresentazione dell’amok come culture-bound syndrome, ovvero sindrome legata ad una determinata cultura, che si è imposta sulla scena etnopsichiatrica a partire dalla metà del Novecento, per arrivare alla decostruzione del concetto stesso. Esso infatti è stato oggetto di un lungo dibattito che poi ha portato al suo abbandono nella letteratura scientifica sia in antropologia che in psichiatria. Nel terzo, ed ultimo, capitolo, attraverso eventi svoltisi nell’Isola di Giava, tratterò di come l’amok sia stato “vittima” di un malinteso, che ha portato a concepire tale fenomeno come sviluppato solo da disturbi mentali singoli (a correre l’amok erano solo individui ritenuti “pazzi”) e non conseguente a situazioni estreme di marginalizzazione e abusi, avvenuti durante periodi coloniali e successivamente di dittatura. Nel corso dell’analisi verranno posti svariati quesiti come: l’amok è una sindrome riscontrabile solo in luoghi di cultura malese o può essere ritrovato in tutte le culture? E conseguente a questo, può essere ancora definito come culture-bound? Esso è applicabile solo ad eventi commessi da singoli individui oppure può essere associato anche ad azioni di gruppo? E più nello specifico, quanto hanno influito il colonialismo, la politica e i media nel formulare interpretazioni di tale fenomeno? A queste domande non tenterò di dare una risposta univoca, perché risulterebbe pretenzioso e riduzionista, ma fornirò spunti di analisi che apriranno la discussione ad ulteriori quesiti. L’obiettivo del mio lavoro non sarà quindi una formulazione di leggi e sentenze, ma di proporre una riflessione su errori interpretativi commessi in seno a concezioni che peccavano di un etnocentrismo tipicamente occidentale, le quali hanno portato a mal interpretare fenomeni criminosi come l’amok.
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Informazioni tesi
Autore: | Silvia Scandolari |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Beni culturali |
Corso: | Antropologia |
Relatore: | Ivo Quaranta |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 43 |
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FAQ
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