La personalità psicopatica: caratteristiche cliniche, diagnosi, modelli esplicativi e trattamento
La psicopatia è un disturbo della personalità che comprende molteplici caratteristiche interpersonali, affettive e comportamentali. Hervey Cleckley ha descritto tali caratteristiche in “The mask of sanity” nel 1941 e nelle successive edizioni del testo.
Secondo Cleckley, gli psicopatici sono soggetti gravemente disturbati che riescono, ciò nonostante, a mostrare una maschera di apparente salute mentale. Non vi sono segni di psicosi e di nevrosi, e la naturale tendenza a simulare le reazioni emotive degli altri, riesce a nascondere una profonda compromissione emotiva. Gli psicopatici vivono le emozioni in modo superficiale, non provano rimorso e vergogna, e ciò può condurli ad un’impulsiva devianza sociale, ma questo deficit nelle reazioni emotive può manifestarsi anche in assenza di elevati livelli di disadattamento comportamentale. Infatti, gli psicopatici fanno parte della popolazione carceraria, ma anche di quella civile e di elevato status sociale (possono non commettere crimini o semplicemente non essere scoperti, violare solo norme etiche). Essi sono affascinanti e intelligenti, inaffidabili e abili bugiardi, incapaci di apprendere dall’esperienza, egocentrici e incapaci di amare, insensibili nelle relazioni interpersonali, sono capaci, però, di fingere affetto sincero quando, in realtà, mirano semplicemente a gratificare se stessi, ottenere ammirazione, gratitudine o altri obiettivi.
Robert Hare ha sottolineato la necessità di differenziare il Disturbo antisociale identificato dal DSM dalla vera psicopatia e ha sviluppato una scala diagnostica che potesse rendere operative le caratteristiche cliniche identificate da Cleckley; la Psychopathy Checklist (1980) e la sua revisione (1991), consentono di individuare gli psicopatici nel contesto forense, clinico e di ricerca.
Le scale di Robert Hare e alcuni indici psicofisiologici sono stati utilizzati dai ricercatori per esplorare il funzionamento emotivo e cognitivo degli psicopatici. Le ricerche hanno evidenziato dei deficit in linea con quelli segnalati da Cleckley relativamente alla presenza di distacco emotivo e dell’incapacità di apprendere dall’esperienza. Gli psicopatici vivono l’esperienza della paura in modo attenuato (ridotto startle reflex, ridotto arousal), hanno una ridotta capacità di riconoscere le emozioni attraverso le espressioni del viso e il tono vocale (in particolare la paura, la tristezza e il disgusto), una superficialità emotiva del linguaggio caratterizzata da una ridotta incidenza degli input affettivi sull’elaborazione, e ridotto apprendimento strumentale, in particolare un deficit nell’apprendimento dell’evitamento passivo e nella capacità di inversione o estinzione della risposta, che li porta a perseverare in comportamenti disadattivi e controproducenti.
Per quanto riguarda le cause della psicopatia, non c’è ancora un accordo tra i vari autori ed è probabile, data la complessità della personalità psicopatica, che siano coinvolti più meccanismi eziologici, siano essi neurologici, genetici o ambientali (Viding, Larson, 2010).
Per quanto riguarda le basi neurali della personalità psicopatica, è probabile il coinvolgimento di diverse aree cerebrali (Blair, 2003): lobo orbito-frontale, giro cingolato anteriore e amigdala; danni a tali aree cerebrali, infatti, sono associati ad alcune menomazioni cognitive e sintomi comportamentali osservati negli psicopatici.
La psicopatia è stata sempre considerata una condizione non curabile. Gli studi sul trattamento della psicopatia hanno evidenziato che i programmi terapeutici che solitamente sono efficaci con gli altri criminali, rischiano di essere dannosi per gli psicopatici, infatti, dopo il trattamento, gli psicopatici mostravano un più alto tasso di recidiva criminale e violenta rispetto agli altri criminali e agli altri psicopatici che non avevano partecipato al trattamento.
Il punto di vista di diversi autori è che con dei programmi realizzati appositamente per gli psicopatici, che tengano conto delle loro caratteristiche e di ciò che è emerso nelle ricerche sul trattamento, si possano ottenere dei risultati positivi (Hare,1993; Harris, Rice, 2006; Skeem, Monahan, Mulvey, 2002; Wallace, Newman, 2004).
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Informazioni tesi
Autore: | Nadia Piras |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Palermo |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia clinica dell'arco di vita |
Relatore: | Daniele La Barbera |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 106 |
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