La silice tra rischio chimico e cancerogeno: interventi di prevenzione in un'azienda ceramica
L’esistenza del legame tra l’esposizione a silice e l’insorgenza di silicosi è nota ormai da tempo, tanto che tale patologia rappresenta una delle più vecchie malattie professionali.
La silicosi è una tecnopatia cronica, non reversibile, causata proprio dall’inalazione, protratta nel tempo, di silice libera nelle sue forme allotropiche (quarzo, trimidite, cristobalite) in concentrazioni tali da risultare pericolosa.
Inoltre, l’esposizione a polveri di silice cristallina per via inalatoria è stata correlata all’insorgenza di tumori polmonari. Ciò sulla base di numerosi studi epidemiologici effettuati dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC) che ha classificato nel 1997 la silice cristallina nel gruppo 1 come sicuro cancerogeno per l’uomo.
Nella monografia IARC viene fatto notare che la cancerogenicità, però, non è stata individuata in tutte le circostanze industriali studiate. Ciò significa che la silice può presentare delle differenze, che influenzano la sua tossicità, legate sia a proprietà intrinseche del minerale e sia a fattori estrinseci, quali contatto e contaminazione da altre sostanze, che possono attivare il processo di cancerogenicità.
Pertanto, le polveri aerodisperse rappresentano uno dei più rilevanti problemi nel campo dell’igiene industriale in quanto sono molteplici le attività, fonti di tale tipo di inquinamento.
L’esposizione lavorativa a polveri aerodisperse è attualmente regolamentata dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008 e s.m.i., n.81 che stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di valutare l’esposizione dei lavoratori e di adottare tutte le misure necessarie per la riduzione del rischio. Sulla base di quanto prescritto dalle norme emanate in ambito europeo, il D. Lgs. 81/2008 definisce valori limite di concentrazione per un limitato numero di sostanze chimiche, mentre per i restanti agenti chimici aerodispersi, tra cui la silice, è prassi comune riferirsi ai valori limite proposti da organismi internazionali di riconosciuta autorità come l’ American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH).
L’ACGIH fino al 2005 ha proposto come valore limite d’esposizione a silice cristallina 0,050 mg/m³ resp in accordo con la Raccomandazione del giugno 2002 dello SCOEL, in quanto tale valore è indicato come limite in grado di prevenire la silicosi nella pressoché intera popolazione degli esposti.Questo lavoro di tesi ha lo scopo di valutare la quantità di polveri di silice cristallina a cui sono esposti i lavoratori di uno stabilimento ceramico che produce apparecchi igienico-sanitari a base di argilla.La parte iniziale riguarda una sintetica, ma precisa descrizione del minerale e delle sue varie forme con cui esso si presenta in natura o allo stato artificiale.
Segue poi una panoramica degli effetti sulla salute per l’esposizione prolungata nel tempo, in ambiente di lavoro, a silice cristallina e la descrizione delle attività lavorative maggiormente esposte a tale rischio con particolare riferimento al ciclo produttivo dello stabilimento ceramico analizzato.
Il lavoro d’indagine mira a quantificare l’esposizione personale delle varie figure professionali o dei loro gruppi omogenei all’interno dei reparti produttivi dell’azienda e ha previsto la raccolta di campioni durante il turno lavorativo di 8 ore mediante campionatori personali costituiti da elutriatori a cicloni con l’orifizio di aspirazione all’altezza circa del viso del lavoratore con preselettori per la frazione respirabile e substrati di raccolta in pvc, con un flusso di aspirazione di 2,5 l/min. I campioni ottenuti sono stati successivamente analizzati in laboratorio.
Dai risultati ottenuti si è proceduto a calcolare i valori medi per le polveri respirabili e per la silice libera cristallina in mg/m³ confrontandoli con i valori medi dei precedenti campionamenti a partire dall’anno 2002.
In mancanza di normativa specifica nei posti di lavoro, il valore limite (TLV) proposto dall’ACGIH rappresenta il valore di riferimento generalmente usato in Italia.
Dall’analisi dei dati si è evidenziato che i valori medi, negli anni, nei vari reparti, sono risultati, tendenzialmente, non classificabili come pericolosi per l’uomo. Tuttavia, in alcuni casi sporadici sono stati evidenziati valori di picco, probabilmente imputabili anche a erronee procedure di campionamento, sui quali l’azienda ha lavorato, impiegando mezzi e risorse, nell’ottica di una puntuale e concreta tutela della salute dei lavoratori.
Tale considerazione è stata fatta sulla base di quanto ribadito dal Regolamento CLP attualmente in vigore, per la classificazione, l’ etichettatura e l’imballaggio delle sostanze pericolose.
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Informazioni tesi
Autore: | Sania Roscia |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Tecniche della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro |
Corso: | L/SNT4 medicina e farmacia |
Relatore: | medico del lavoro medico del lavoro |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 120 |
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