Approccio psicomotorio integrato: possibili applicazioni in un caso di medulloblastoma
Nel caso specifico, relativo ai tumori cerebrali, studi recenti dimostrano come i soggetti sopravissuti a questa malattia richiedano una riabilitazione che prevede un intervento che li coinvolga globalmente, al fine di poter incrementare le strategie di coping sul piano fisico, cognitivo ed affettivo e ottimizzare gli interventi riabilitativi.
Hirsch e collaboratori (1979) avevano rilevato che in un gruppo campione formato da 28 ragazzi operati di tumore al cervello, 26 (93%) avevano sviluppato nel tempo importanti problematiche caratteriali quali ansietà, lentezza e inibizione che influenzavano notevolmente le loro relazioni interpersonali e lo loro vita sociale.
A causa dei potenziali deficit neurologici, delle lunghe ed estenuanti terapie e delle evidenti stigmate sul loro corpo, i bambini e ragazzi affetti da tumore cerebrale, infatti, sembrano essere dei soggetti ad alto rischio per lo sviluppo di deficit riguardanti le competenze sociali, intese come capacità di adattamento e sviluppo di nuove abilità (Gresham, 1986).
In uno studio longitudinale che coinvolge 31 ricerche svolte su bambini e ragazzi sopravissuti a tumori cerebrali durante l’infanzia (Fuemmeler, Elkin, e Mullins, 2002), è stato analizzato l'adattamento sociale, comportamentale ed emozionale che questi ragazzi devono compiere, mettendo in luce le difficoltà alle quali sono particolarmente a rischio; ciò che è emerso in uno studio di follow up, (Hoppe-Hirsch et al. 1990) è che bambini colpiti da medulloblastoma cerebrale manifestano molti problemi psicologici anche a parecchi anni di distanza dalle terapie e, data la complessità di tali problematiche, vi è difficoltà nel definirne i termini.
In generale, sembra emergere che i ricercatori impegnati su questo tipo di problematiche abbiano ancora molto da scoprire rispetto gli adattamenti ragazzi necessari per il ritorno alla normalità, ma soprattutto sembra che, all’interno dell’intervento oncologico, i pazienti affetti da questo tipo di malattia abbiano necessità e bisogni diversi, sia da un punto di vista medico che psicologico; sembra emergere l’importanza di concepire la riabilitazione come un percorso finalizzato al miglioramento della qualità della vita sul lungo termine agendo sui vari aspetti dell’esistenza (Fuemmeler, Elkin, e Mullins, 2002).
Al fine di comprendere l’utilità delle tecniche a mediazione corporea e giustificarne il loro utilizzo in ambito terapeutico riabilitativo, verranno di seguito esaminate recenti ricerche in merito alla plasticità cerebrale, che confermano come la varietà degli stimoli provenienti dall’ambiente importanti abbiano un peso rilevante nel recupero di competenze perse in seguito a traumi o malattia.
A partire dal modello biopsicosociale, saranno descritti i limiti dell’applicazione del modello biomedico di stampo riduzionista, e l’utilità dell’integrazione di aspetti psicologici e sociali in sede di diagnosi.
La psicomotricità alla quale farò particolare riferimento, avendo come oggetto l’attività motoria dal punto di vista psichico, si inserisce in questo contesto perché approfondisce ed esamina l’interazione tra il corpo e la mente, analizzando i cambiamenti che avvengono sul piano psicologico a partire dall’esecuzione del movimento libero e spontaneo. E’ una tecnica che nel superare la lettura pura e semplice del movimento, si pone come obiettivo l’azione finalizzata, intesa come sintesi equilibrata fra il progetto desiderato e pensato, e le richieste provenienti dal mondo esterno (Boscaini, 1992).
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Informazioni tesi
Autore: | Giovanna Bonavolontà |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Clinica-dinamica |
Relatore: | Michela Sarlo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 113 |
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