Teoria della mente: una nuova immagine del bambino
La teoria della mente rappresenta la capacità di attribuire stati mentali, intenzioni, emozioni, desideri, credenze e conoscenze a sé e agli altri e di spiegare l’azione umana sulla base di tali stati. La ricerca sulla teoria della mente ha rappresentato una delle aree più vivaci e produttive della psicologia dello sviluppo, con ricadute importanti anche in altri settori della psicologia. L’interesse principale degli studiosi era di delineare l’andamento evolutivo nell’infanzia della comprensione della mente. In seguito, gli studi si sono rivolti alla questione dei correlati sociali dello sviluppo della teoria della mente, come il linguaggio, l’interazione sociale e il contesto sociale e culturale e si sono concentrati prevalentemente sulle differenze individuali e sugli aspetti socio-emotivi della comprensione degli stati mentali propri e altrui. Ciò ha permesso di collegare e integrare argomenti e settori d’indagine separati, permettendo di rivalutare fortemente le competenze infantili e di attribuire al bambino anche in età precoce capacità cognitive e conoscenze che nelle teorie classiche erano attribuite a bambini più grandi.
Le ricerche in questo campo mostrano che il bambino solo a 4 anni acquista la capacità di comprendere e risolvere il problema della falsa credenza, in quanto in un primo momento acquista la capacità di comprendere il gioco di finzione, e solo in un secondo momento diventa capace di riconoscere le differenze tra oggetti reali e immagini mentali di tali oggetti e di prevedere il comportamento delle altre persone prima sulla base di ciò che desiderano, e poi sulla base delle credenze. Da ciò si evince che il bambino fa il suo ingresso nella comunità sociale ben equipaggiato a fare attenzione “a” e interagire “con” gli altri essere umani. Pertanto si può affermare che la teoria della mente non compare a 4 anni, bensì già a 2-3 anni, poiché i bambini già a questa età mostrano evidenze di una conoscenza della mente, anche se la loro concezione della mente è differente da quella dei bambini di 4-5 anni. Nel dibattito su come i bambini sviluppano una teoria della mente si distinguono due grandi orientamenti sulla base del peso dato all’interazione sociale, per cui il contrasto è tra concezioni che descrivono lo sviluppo come un processo individuale autonomo, facilitato dal mondo sociale e una concezione socio-culturale e socio-costruttivista, per la quale lo sviluppo della teoria della mente deriva dalla partecipazione alle pratiche sociali della comunità di riferimento.
L’autismo può essere interpretato come una patologia caratterizzata dal mancato o anomalo sviluppo di una teoria della mente. Baron-Cohen, Leslie, Frith e Hobson per comprendere lo sviluppo normale di una teoria della mente hanno seguito la via indiretta, analizzando il perché alcuni bambini non riescono a sviluppare il concetto di mente. In particolare, tali ricerche mostrano che questa sindrome è dovuta ad un deficit cognitivo consistente nell’incapacità di meta-rappresentazione che è basilare per la teoria della mente. Questi bambini possono essere eccellenti come ‘fisici’ e ‘comportamentisti’ ma non diventano mai degli ‘psicologi’ veri e propri. Trascorrono gran parte del loro tempo dedicandosi a giochi orientati sulla realtà e hanno difficoltà nel produrre e comprendere l’intenzione dichiarativa del gesto di indicare. Infatti in questi bambini risulta compromesso o assente il gioco di finzione e risultano severamente danneggiate le capacità comunicative e di attenzione condivisa, che richiedono la meta-rappresentazione. Wellman ritiene che la comprensione dei desideri preceda quella delle credenze, infatti egli sostiene che i bambini di 2 anni hanno una ‘psicologia dei desideri’, mentre quelli di 3 anni una ‘psicologia delle credenze e dei desideri’ e che ad entrambe le età la comprensione di questi stati mentali è legata casualmente agli altri stati mentali, come le emozioni e le motivazioni fisiologiche. Gli esperimenti negli ultimi 50 anni hanno evidenziato come i bambini autistici non sono capaci di attribuire stati mentali agli altri, anche se non c’è differenza negli input sociali forniti da chi si prende cura di loro rispetto a quelli forniti da chi si prende cura dei bambini normali. Questo deficit potrebbe spiegare il perché i bambini autistici presentano singolari anormalità nell’interazione sociale e nella comunicazione, che dipendono in larga misura dall’abilità di tenere in considerazione le credenze, i desideri, i pensieri, le intenzioni degli altri. Le spiegazioni delle carenze in questa area non sono univoche. Si possono, infatti, evidenziare due posizioni principali: una, sostenuta da Baron-Cohen e Leslie, fa riferimento a problematiche di tipo cognitivo; l’altra, sostenuta da Hobson, chiama in causa fattori di tipo socio-affettivo.
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Informazioni tesi
Autore: | Luisa Iodice |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Psicologia dei processi relazionali e di sviluppo |
Relatore: | Laura Aleni Sestito |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 42 |
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