Mutuo consenso e comportamento concludente nel rapporto di lavoro
Parlare di mutuo consenso nel rapporto di lavoro significa, senza ombra di dubbio, discutere dell’individuazione dei limiti entro i quali può esplicarsi l’autonomia negoziale. E’ pacifico, infatti, che, almeno quando la prestazione lavorativa viene eseguita in adempimento di un’obbligazione dedotta in un contratto di lavoro subordinato, l’art. 1322 c.c. incontra limitazioni più o meno incisive. Tale articolo riconosce alle parti di un contratto il potere di determinare liberamente il contenuto del medesimo, fermi restando i limiti imposti dalla legge. Limiti che proprio nel rapporto di lavoro subordinato come in nessun altro rapporto di diritto civile, esplicano tutta la loro forza precettiva. Questa tipologia di rapporto, che trova la propria norma di riferimento nell’art. 2094 c.c., è caratterizzata dallo scambio tra una retribuzione e una prestazione lavorativa svolta “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”, dunque da una situazione di soggezione di una parte (il lavoratore) ad un’altra (il datore di lavoro).
Questo assoggettamento è consentito dall’ordinamento limitatamente alla prestazione dedotta in contratto, perciò si tratta di una dipendenza tecnica funzionale all’organizzazione dell’impresa, ma ciò non toglie che la persona del lavoratore resti comunque implicata nel rapporto, con tutti i pericoli che ne derivano. In particolare, nell’ambito di una fase storica caratterizzata da diffusa disoccupazione, non è assolutamente irrealistico pensare che molti lavoratori, pur di ottenere o conservare un impiego e quindi un reddito difficilmente rimpiazzabile, potrebbero essere indotti ad accettare condizioni contrattuali svantaggiose e a subire ingiuste prevaricazioni. Tutto ciò in contrasto con il dettato costituzionale che vieta all’iniziativa economica privata di svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in pregiudizio della sicurezza, della libertà e della dignità umana (art. 41, comma 2°, Cost.).
Al fine di eliminare o quantomeno di ridurre questo pericolo, attorno al modello contrattuale del lavoro subordinato è stato costruito un apparato di tutele positive e negative proporzionali al grado di debolezza contrattuale del prestatore d’opera. Strumento indispensabile nell’ambito di questo complesso di tutele è la norma inderogabile, attributiva di diritti nonostante qualsiasi contraria pattuizione delle parti, che inevitabilmente pone dei “paletti” all’autonomia negoziale nella determinazione del contenuto del rapporto contrattuale […]. Tuttavia, non bisogna cadere in errore in merito alla finalità di questo « ingabbiamento », che non è sempre e comunque quella di tutelare colui che si presume soggetto debole del rapporto ma anche quella di realizzare un contemperamento tra questa tutela e le esigenze di produttività e di efficienza dell’impresa. In altre parole, si tratta di tenere in considerazione due facce di una stessa medaglia: l’una raffigurante ciò che le parti, nell’esercizio dell’autonomia negoziale loro riconosciuta dall’art. 1322 c.c., possono liberamente conocordare; l’altra raffigurante ciò che è sottratto alla loro disponibilità perché vietato da norme inderogabili o perchè affidato alla regolamentazione da parte di fonti eteronome.
La questione dello spazio di manovra dell’autonomia negoziale tocca tutte le vicende nelle quali si è soliti suddividere un rapporto contrattuale.
Nell’ambito della vicenda costitutiva, essa si lega al problema della qualificazione del rapporto […]
Nell’ambito della vicenda modificativa, il problema dell’autonomia negoziale offre gli spunti più interessanti in relazione all’art. 2103 c.c.: si tratta di stabilire se e a quali condizioni sia configurabile un potere di modificazione consensuale della prestazione dovuta con riguardo all’oggetto (mutamento di mansioni) e al luogo di esecuzione (trasferimento), alla luce di un terzo comma che sembrebbe porre un divieto assoluto difficilmente aggirabile […].
Per quanto riguarda la vicenda estintiva, è pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza che il rapporto di lavoro, oltre che per volontà unilaterale di una delle parti (licenziamento; dimissioni), possa estinguersi anche per mutuo consenso, a norma dell’art. 1372, comma 1°, c.c. Si tratta di un mezzo di estinzione del rapporto per il quale non è richiesta alcuna forma particolare, potendo l’accordo risolutivo essere concluso anche oralmente o per fatti concludenti. Proprio quest’ultima modalità di conclusione del patto risolutorio è alla base di un contenzioso rilevante che si protrae ormai da un decennio e che vede protagonista, tra gli altri, l’ente Poste Italiane, il quale ha a lungo sostenuto che la mancata contestazione dell’illegittimità del termine di durata dei contratti per un lasso di tempo più o meno lungo sarebbe indice della volontà risolutiva del rapporto da parte del lavoratore che, unita a quella del datore di lavoro, darebbe luogo ad una risoluzione per mutuo consenso […]
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Palmas |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Cagliari |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Pier Giorgio Corrias |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 64 |
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