Il principio di sussidiarietà verticale. Possibile chiave di volta del sistema Stato-autonomie
La sussidiarietà è la parola «che salvò Maastricht» , lo strumento necessario, nell’ambito del Trattato del 1992, a bilanciare l’allargamento dei poteri comunitari e la difesa della sovranità degli Stati membri. In base al principio di sussidiarietà l’ Unione Europea può intervenire nei casi in cui gli obiettivi previsti dal Trattato non vengano “sufficientemente realizzati” dagli Stati membri (art. 3b del Trattato).
Il principio di sussidiarietà in Italia è stato recepito solo con la legge n. 59 del 15 marzo 1997, detta legge Bassanini. La legge ha disposto, a Costituzione invariata, il conferimento a Regioni ed enti locali di tutte le “funzioni e compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità o comunque localizzabili nei rispettivi territori” ad eccezione delle materie riservate allo Stato, individuate al terzo comma dell’articolo 1.
La sussidiarietà si delinea, dunque, come principio relazionale, in quanto riguarda i rapporti tra i diversi livelli di governo (Stato, Regioni, Province , Comuni) e come “criterio di preferenza”, dal momento che implica, all’origine, una decisione in favore dell’ente territorialmente e funzionalmente più vicino ai cittadini .
Il principio di autonomia è riconosciuto dall’ ordinamento costituzionale italiano sin dal 1948; l’art. 5 cost. prevede che “La Repubblica promuove le autonomie locali e attua il più ampio decentramento amministrativo”. La disposizione è rimasta lettera morta per oltre quarant’anni: una lunga fase di potere statale incontrastato e di “sussidiarietà negata” .
La legge Bassanini ha rappresentato, dunque, un momento di riordino dell’intero sistema amministrativo e non solo una legge di mera redistribuzione , attribuendo funzioni amministrative a Regioni ed enti locali anche nelle materie di potestà legislativa dello statale,e sancendo l’abbandono del principio del parallelismo delle funzioni.
Tuttavia la portata innovatrice della legge non ha trovato, negli anni immediatamente successivi, un’attuazione rispondente alle attese.
La riforma del Titolo V della Costituzione ( approvata con la legge cost. 3/2001) ha codificato, al primo comma del nuovo articolo 118, il principio di sussidiarietà verticale: ai Comuni è attribuita la generalità delle funzioni amministrative salvo che, per «assicurarne l’esercizio unitario», siano conferite ad enti di livello superiore.
Il legislatore ha assegnato al principio di sussidiarietà il ruolo di pietra angolare dell’architettura istituzionale italiana. Tuttavia il principio di sussidiarietà presuppone la piena autonomia degli enti locali, che devono poter disporre delle risorse strutturali ed economiche necessarie all’esercizio delle funzioni conferite. Un presupposto che, al momento dell’ approvazione della riforma del Titolo V, non trovava corrispondenza nella realtà italiana, ancorata ad un inossidabile centralismo,e lontana dal riconoscere, nelle Regioni e negli enti locali, istituzioni capaci di una gestione efficiente e autonoma delle risorse.
La riforma costituzionale del 2001 lanciava la sfida della sussidiarietà senza fornire gli strumenti per affrontarla.
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Informazioni tesi
Autore: | Daniele Pallotta |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Alfonso Masucci |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 65 |
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