Il concetto del male nel Corano
Il lavoro affronta un tema delicato per due ragioni principalmente. In primo luogo perché affronta un problema che tocca nel più profondo dell'essere umano, quello del male e della sofferenza; problema che quindi riguarda innanzi tutto l'esperienza esistenziale umana e che è stato affrontato dal pensiero filosofico senza il dovuto rispetto per la componente reale del negativo, quella quotidiana ed esistenziale appunto. Infatti secondo il filosofo L. Pareyson la filosofia razionalistica, nel tentativo di definire il male in termini assoluti, ha sempre sacrificato la realtà del negativo (che include tanto il male etico- morale quanto la sofferenza fisica) alla sua comprensibilità, attenuandone e spesso annullandone la componente esistenziale. In secondo luogo il tema è delicato per il valore dell'oggetto d'analisi; il lavoro infatti si è svolto sul testo sacro di una tradizione religiosa che non mi appartiene, scritto in una lingua che non è la mia lingua naturale; perciò esiste sempre un certo pericolo di indiscrezione nel cercare di comprendere un testo che comunque è stato e rimane riferimento e fonte di speranze per una gran parte dell'umanità.
Il lavoro inizia con un'analisi di quelle che si possono considerare le origini del male secondo il Corano; lo si farà confrontando il racconto biblico della genesi con quello coranico per far emergere differenze fondamentali importanti per lo sviluppo del tema in questione. Si vedrà infatti che una piccola differenza nel racconto della caduta di Adamo ed Eva si ripercuote sul concetto del male di quest'altro monoteismo, se non addirtittura sull'intera concezione di ordine e disordine cosmico che caratterizza la spiegazione della tradizione cristiana al male. Ci si concentrerà pure sull'apparentemente (perché forse lo è solo ad un orecchio giudeo-cristiano) ambiguo rapporto che sembra esistere tra il Dio coranico ed il male che tocca l'uomo, che si tratti di una calamità o finanché di quel male etico-morale che porta l'uomo ad allontanarsi dalla guida divina. Nel fare questo si affronterà inevitabilmente la questione di libero arbitrio e divino arbitrio che ha diviso le scuole teologiche islamiche medievali, sottolineando in particolare quanto sia inopportuna, anche alla luce della posizione scuola teologica più determinista e sopratutto della piu ampia concezione di onnipotenza divina, l'accusa di fatalismo spesso rivolta al testo sacro dell'Islam. Per finire si approfondirà, nel terzo ed ultimo capitolo, la figura di Iblis, il Satana del Corano, e l'indefinibile rapporto che sembra esserci tra l'angelo ribelle e l'Onnipotente, terminando con le piu sconvolgenti interpretazioni (sopratutto ad un orecchio abituato alla figura diabolica biblica) del suo atto ribelle che lo stesso testo sacro sembra permettere in alcuni suoi passi analizzati anche dal punto di vista linguistico. Il lavoro, in altre parole, vuole presentare una questione, non intendendo di certo risolverla, che ad ora è stata affrontata da un unico lavoro in italiano (a cui ci si è in parte ispirati nella scelta dei passi coranici) che per quanto sia esaustivo nel presentare le fonti, sopratutto i commentari coranici (tafsir), mantenga una posizione prevalentemente fatalistica non condivisa da nessuno dei credenti musulmani (pure laureati in scienze islamiche ad Al-Azhar, la più prestigiosa sede di elaborazione del pensiero islamico sunnita) a cui ho domandato l'interpretazione di alcuni passi usati impropriamente per sostenere la tesi fatalista.
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Informazioni tesi
Autore: | Gionatan Di Consoli |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della mediazione linguistica |
Relatore: | Jolanda Guardi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 54 |
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