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Giotto e Bonaventura a confronto.

La Legenda Major, viene commissionata a Bonaventura nel corso del capitolo generale di Narbona del 1260. Dopo 3 anni di lavoro, recupero e ri-adattamento della trilogia del Celano, viene finalmente approvata dal Capitolo generale di Pisa del 1263. Passano altri 3 anni e a Parigi, nel 1266 l’elite dell’ordine decide di distruggere tutta la documentazione precedente: codici e manoscritti vengono fatti sparire con cura. Si tratta di una decisione che va oltre a quello di un semplice provvedimento ordinaria amministrazione e che vuole consacrare la Leggenda Maggiore quale unica biografia, la sola vincolante. Trent’anni dopo, basandosi su questa, e solo questa fonte, il movimento riformatore decide di raggiungere lo stesso livello di ufficialità anche per quanto riguarda l’iconografia, con la chiamata ad Assisi (come vuole il Vasari) di Giotto da parte del nuovo generale dell’Ordine Giovanni da Muro. Quella decisione politica sancisce per secoli che il Francesco che si è voluto divulgare è solo quello di Bonaventura. Abbiamo così, con sicurezza, da una parte la fonte letteraria e dall’altra l’illustrazione monumentale degli episodi più significativi della vita del poverello. La lettura parallela delle due opere, e la relazione tra esse, è di fatto possibile. Confrontando gli episodi più significativi ho riscontrato nel pittore toscano un tentativo di svincolarsi dall’immagine del Santo ereditata e promossa da Bonaventura.

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2 Premessa La Legenda Major, approvata nel corso del Capitolo generale di Pisa del 1263, diventerà l’unica biografia valida del Santo, la sola vincolante. Basandosi su questa fonte, l’Ordine dei Frati Minori, deciderà di raggiungere lo stesso livello di ufficialità anche per quanto riguarda l’iconografia. Giotto sarà incaricato a realizzare il grandioso progetto. Abbiamo così da una parte la fonte letteraria, basata sulla tradizione orale e sulla trilogia celaniana, e dall’altra l’illustrazione monumentale degli episodi più significativi della vita di Francesco, alcuni ex novo, altri già presenti da decenni nell’immaginario collettivo. La lettura parallela delle due opere, e la relazione tra esse è di fatto possibile. Confrontando le scene più salienti, si ha la sensazione che il lavoro del pittore toscano tenda a svincolarsi in più dettagli dall’immagine del Poverello ereditata e promossa da Bonaventura. Quasi a proporre un’alternativa, che non cambia nulla nella sostanza, ma che si riallaccia in più aspetti al temperamento e all’intraprendenza raggiunta da una Confraternita ormai potente e legittimata: solerzia e operosità che hanno origine nell’impulso dato dal Santo nei confronti di tutto il creato. Questa incursione della realtà, che raccoglieva gli stimoli della predicazione francescana, non poteva manifestarsi se non sulle pareti della basilica assisiate 1 . Desidero dissipare però, da subito, qualsiasi equivoco. Giotto, non è mai stato, e non parlerò mai di lui come se lo fosse, il pittore “ufficiale” dell’ Ordine, 1 BERTELLI – BRIGANTI, in AAVV, Storia dell’arte italiana, vol II, Milano 1988, p. 67.

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Coffani
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Massimo Parodi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 116

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Parole chiave

arte
assisi
bonaventura
filosofia
francesco d'assisi
giotto
medioevo
pittura affresco
relazione
rinascimento

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