Intervento umanitario e diritto internazionale
L’ultimo decennio del XX secolo ha visto una proliferazione delle situazioni di crisi per la pace e la sicurezza internazionale dovute all’aggravarsi delle tensioni a livello intra-statuale. L’Onu, per la sua quasi inattività nel periodo precedente il 1989, si trovava impreparata e sprovvista delle risorse materiali per poter adempiere al suo ruolo. Perciò, nonostante il mutamento della realtà nell’equilibrio politico mondiale, oltre a spogliarsi esplicitamente della sua competenza nel condurre operazioni coercitive, autorizzando gli Stati membri all’intervento, in alcuni casi ha assistito, di fatto, alla gestione delle crisi attraverso azioni degli Stati operanti extra-Organizzazione. In questa situazione, dovuta anche a una mancanza di accordo in seno al Consiglio di Sicurezza, è tornata in auge la tanto discussa quanto controversa teoria dell’Intervento Umanitario: “Un’azione coercitiva che implica l’uso della forza armata da parte di uno Stato o un gruppo di Stati nel territorio di un altro Stato senza il consenso del suo governo e senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, con lo scopo di impedire o fare cessare gravi e massicce violazioni dei diritti umani o del diritto internazionale umanitario”. Tale teoria è uno strumento estraneo al sistema di sicurezza delle Nazioni Unite. C’è chi vede in essa un “ritorno al passato”, al sistema di relazioni internazionali in “stile secolo decimonono”; altri uno strumento utile che permette di aggirare l’incapacità decisionale del Consiglio di Sicurezza. I casi in cui si è fatto ricorso alla teoria dell’Intervento umanitario sono stati l’operazione “Provide Comfort” (alla fine del conflitto in Iraq nel 1991) e l’operazione “Determined Force” (Kosovo 1999). Alla luce della prassi dell’ultimo secolo non sembra opportuno considerare gli unici due casi in cui si è fatto ricorso a tale teoria come “precedenti” alla formazione di una nuova consuetudine internazionale, essendo stati definiti “eccezionali” e “necessari” e non supportati da una vasta maggioranza di Stati. Si può dire pertanto che essi risultano legittimi dal punto di vista politico-morale, pertanto “giustificabili” ma formalmente illeciti, anche se sanati ex post da atti dell’Onu. Tali interventi rappresentano delle “soluzioni del momento”, reazioni flessibili sviluppate pragmaticamente in base alle valutazioni dei casi specifici; contingenze dettate dalle emergenze del momento più che azioni rispondenti a una strategia di lungo periodo. Essi simboleggiano la fase di transizione post-guerra fredda, cominciata all’inizio degli anni novanta e tuttora in corso per la definizione di un Nuovo Ordine Internazionale e con esso di nuove strategie di pacificazione; ne sono per così dire la metafora. Come ogni processo di transizione, quello in corso implica elementi di incertezza e instabilità perché lo sviluppo di nuovi o rivisitati approcci tesi al mantenimento della pace e delle sicurezza internazionale richiede sperimentazione e un certo grado di espedienti “ad hoc”. Pertanto, tali eccezionali violazioni della legalità per scopi umanitari, giustificati su basi politiche e morali, servono a confermare l’esistenza del diritto internazionale piuttosto che eroderlo; esse sono violazioni consapevolmente attuate della disciplina dell’uso della forza per evitare i danni più gravi dell’inazione, visto che il vero interesse nazionale che fa capo a tutti gli Stati è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, per il quale la protezione dei diritti umani risulta un presupposto fortemente determinante. Le reazioni flessibili implementate in situazioni di crisi da parte di accordi o Organizzazioni Regionali e coalizioni di Stati, nell’instabile e mutevole evoluzione degli eventi, fanno pensare più che i tipi di risposta nel nuovo secolo saranno per loro natura sviluppati su basi di scelta attuata “caso per caso” e non “ingessati” in procedure standard. Ciò implica un’ampia varietà di metodi per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale in un nuovo e più complesso sviluppo delle relazioni internazionali, anche in un’ottica di prevenzione piuttosto che di sola repressione. Queste conclusioni non possono che essere provvisorie, anche se in esse ho tentato di formulare una spiegazione che tenesse nel giusto conto il contesto internazionale attuale, soggetto a inevitabili mutamenti dal 19 novembre del 1989 con la fine della guerra fredda, e forse orientato verso nuovi tipi di polarizzazione e di conflitto dopo i tragici fatti dell’11 settembre 2001 che, per una casualità di eventi, è poi lo stesso giorno in cui ho chiesto di poter lavorare a questa tesi.
Guglielmo Valia
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Informazioni tesi
Autore: | Guglielmo Valìa |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2001-02 |
Università: | Università degli Studi di Pavia |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Politico-internazionale |
Relatore: | Cristina Campiglio |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 145 |
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