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Il primo regolamento penitenziario del Regno d'Italia

13 gennaio 1862

Vittorio Emanuele II approva il primo regolamento penitenziario dopo l'unificazione del Paese, che entra in vigore su tutto il territorio nazionale ad eccezione delle province toscane, dove si continua ad applicare la normativa vigente.
Esso introduce negli stabilimenti penali il sistema auburniano, cioè la separazione notturna ed il lavoro diurno in comune e in silenzio; inoltre mutua dalla disciplina penale toscana il sistema misto consistente nell'ammettere il detenuto al lavoro solo dopo che abbia trascorso un periodo in segregazione.
La normativa sancisce l'obbligatorietà del lavoro (art.4) ed attribuisce al direttore dell'istituto il compito di destinare i detenuti alle varie attività praticate negli stabilimenti carcerari, rispettando preferibilmente le attitudini degli internati, salvo ragioni economiche o esigenze di sicurezza (art.261).
Gli inabili al lavoro a causa dell'età, di imperfezioni fisiche o di altre affezioni croniche vengono trasferiti in appositi stabilimenti penali (art.265).
I soggetti non recidivi, che si distinguono per una condotta esemplare, possono essere destinati dal direttore a servizi interni agli istituti, indipendentemente dalle lavorazioni attivate nello stabilimento (art.269), beneficiando così di un trattamento di favore.
Il prodotto del lavoro carcerario appartiene allo Stato, tranne eventuali ricompense erogate al detenuto per il raggiungimento di predeterminati livelli di lavoro giornaliero. Esse sono previste per coloro che si distinguono per buona condotta e per un lavoro attivo e produttivo, e comprendono le gratificazioni, il godimento del vitto di lavorante e di ricompensa, la facoltà di ricevere ulteriori visite, l'utilizzo di parte del retratto del lavoro per l'acquisto di abiti invernali, fino alla possibile riduzione della pena o addirittura la grazia sovrana (art.368).
Le gratificazioni sono erogate per la costituzione di un fondo, al fine di far fronte alle esigenze del soggetto al momento della liberazione, e sono costituite da una quota calcolata in decimi sul prodotto del lavoro svolto dal singolo in carcere. La mano d'opera dei detenuti è valutata col salario praticato dalla libera industria diminuito di un quinto. Le frazioni di decimi si differenziano in relazione al sesso dei lavoranti ed al tipo di condanna inflitta.

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