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Mussolini redige il Memoriale Cavallero
Mussolini, forse resosi conto del patto suicida che ha stipulato, inizia a scrivere il Memoriale dopo l'Alleanza Roma–Berlino: questo documento deve essere recapitato al Fuhrer e, in esso, Mussolini riassume cosa sia per lui il Patto d'Acciaio, come lo si debba interpretare.
Il memoriale passerà alla storia come Memoriale Cavallero, dal nome del generale che lo consegnerà a Hitler.
La redazione della nota sarà terminata il 30 maggio ed essa giungerà nelle mani del Fuhrer ai primi di giugno.
La nota si divide, sostanzialmente, in tre parti: una prima parte ribadisce la premessa dell'alleanza stessa: Il conflitto contro le Potenze Occidentali («le nazioni plutocratiche
e quindi egoisticamente conservatrici»):
«Ora che l'Alleanza fra Italia e Germania è fissata e troverà, in ogni momento secondo la lettera e lo spirito del Trattato, la sua piena applicazione, ritengo opportuno esporre quanto io penso sulla situazione attuale e sui suoi probabili sviluppi futuri.
1) La guerra fra le nazioni plutocratiche e quindi egoisticamente conservatrici e le nazioni popolose e povere è inevitabile. Data questa premessa bisogna prepararsi.
2) Colle posizioni strategiche conquistate in Boemia e in Albania, le potenze dell'Asse hanno in mano un elemento fondamentale di successo.
3) Ho spiegato in una Memoria a von Ribbentrop, all'epoca del Convegno di Milano, i motivi per cui l'Italia ha bisogno di un periodo di preparazione che può andare a tutto il 1942».
Quindi le due potenze dell'Asse hanno bisogno di un periodo di pace di durata non inferiore ai tre anni, perché solo dal 1943 in poi un impegno bellico può avere grandi prospettive di vittoria; all'Italia, in particolare, questo periodo di tempo serve per varie ragioni che spaziano dal sistemare militarmente la Libia e l'Albania e pacificare l'Etiopia, all'approfondire i rapporti tra il popolo tedesco e quello italiano; ma la parte fondamentale e centrale riguarda il fatto che l'Italia deve rafforzarsi economicamente, solo così potrà affrontare l'impegno di un conflitto di così vasta rilevanza.
Una tale insistenza su questo punto mostra chiaramente come, anche dopo la firma del trattato, Mussolini voglia ribadire la necessità di un lungo periodo di pace.
La terza parte della nota è costituita da una serie di considerazioni politico–strategiche su come si dovrà svolgere la guerra tra le potenze occidentale e gli alleati dell'Asse: secondo Mussolini la guerra che le grandi potenze stanno preparando è una guerra di usura: bisogna, quindi, partire dall'ipotesi più dura: che l'Asse non riceverà più nulla dal resto del mondo; questa ipotesi è grave e, quindi, al fine di evitare una guerra di tal genere sarà necessario (oltre che spingere avanti la realizzazione dei piani autarchici, onde rendere vano ogni tentativo di blocco da parte delle democrazie possidenti) impadronirsi, fin dall'inizio delle ostilità, di tutto il bacino danubiano e balcanico; non ci si dovrà accontentare delle dichiarazioni di neutralità, ma sarà necessario occupare i territori e sfruttarli per i rifornimenti bellici alimentari e industriali: in questo modo si metterebbero fuori gioco la Grecia, la Romania e la Turchia, cioè i paesi "garantiti" dal Regno Unito, e si avrebbero le spalle coperte. In occidente, le nazioni possono essere considerate "murate", cioè praticamente inattaccabili per forze di terra; si potrebbe, quindi, prevedere una difensiva reciproca sul Reno, sulle Alpi e in Libia; mentre le forze metropolitane e coloniali in Etiopia potrebbero iniziare operazioni offensive contro le colonie francesi e britanniche confinanti; ad occidente, la guerra avrebbe un carattere aereo–navale. Con la conquista dell'Albania, il problema navale italiano si è alleggerito: infatti l'Adriatico può essere considerato un mare interno che può essere chiuso. La nota dà per scontato che si giungerebbe ad un accordo trilaterale franco–sovietico–britannico: Mussolini lo considera «positivo» per le possibilità che esso offrirebbe ai programmi di azione italo–tedeschi volti ad incrinare l'unità interna della Francia e della Gran Bretagna, ad accelerare la «decomposizione dei costumi» ed a «eccitare alla rivolta»le loro popolazioni coloniali.
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