Riflessioni sulla filosofia della narrazione dal libro Tu Che Mi Guardi, Tu Che Mi Racconti di Adriana Cavarero, edizione Feltrinelli, 1997.
Contro le astrusità e i luoghi comuni della filosofia, Cavarero convoca Hannah Arendt, Karen Blixen, Edipo, Borges, Ulisse, Rilke, Euridice, Sheherazade per illuminare i racconti con cui ci desideriamo reciprocamente e che ci donano un ritratto in cui riconoscerci.
Tu Che Mi Guardi, Tu Che Mi Racconti Di Adriana Cavarero
di Valentina Ducceschi
Riflessioni sulla filosofia della narrazione dal libro Tu Che Mi Guardi, Tu Che Mi
Racconti di Adriana Cavarero, edizione Feltrinelli, 1997.
Contro le astrusità e i luoghi comuni della filosofia, Cavarero convoca Hannah
Arendt, Karen Blixen, Edipo, Borges, Ulisse, Rilke, Euridice, Sheherazade per
illuminare i racconti con cui ci desideriamo reciprocamente e che ci donano un
ritratto in cui riconoscerci.
Università: Università degli Studi di Pisa
Facoltà: Lettere e Filosofia
Titolo del libro: Tu Che Mi Guardi, Tu Che Mi Racconti
Autore del libro: Adriana Cavarero
Editore: edizione Feltrinelli
Anno pubblicazione: 19971. Perché la vita non può essere vissuta come una storia
Il disegno non è ciò che guida fin dall'inizio il percorso di una vita, bensì ciò che tale vita si lascia dietro,
senza poterlo mai prevedere e neanche immaginare. Ogni essere umano è un essere unico, è un esistente
irripetibile che, per quanto corra disorientato nel buio mescolando glia accidenti alle sue intenzioni, non
ricalca mai le medesime orme di un altro, non ripete mai il medesimo percorso, non si lascia mai dietro la
medesima storia. Anche per questo le storie di vita vengono narrate e ascoltate con interesse, perché sono
simili e tuttavia nuove, insostituibili e inattese, dall'inizio alla fine. La vita non può essere vissuta come una
storia, perché la storia viene sempre dopo, risulta: è imprevedibile e impadroneggiabile, proprio come la
vita. Chi cammina sul terreno non può vedere la figura che i suoi passi si lasciano dietro, gli è necessaria
un'altra prospettiva.
Valentina Ducceschi Sezione Appunti
Tu Che Mi Guardi, Tu Che Mi Racconti Di Adriana Cavarero 2. Il desiderio di narrazione tra due eroi: Edipo e Ulisse
Al mostro che domandava quale fosse l'animale che cammina prima con quattro gambe, poi con due e,
infine, con tre, Edipo ha risposto: l'uomo. Troppo nota è la forma de discorso platonico per non suggerirci
qui perfette assonanze. Cos'è il giusto, il bello, l'uomo, è nell'opera platonica, la domanda dell'universale che
sollecita in risposta una definizione. È insomma forma della filosofia: sembra che Edipo si riveli quindi
filosofo. Rispetto al canone platonico, la Sfinge ha però composto con lui un discorso filosofico dalla
dinamica rovesciata. Prima è venuta la definizione in forma interrogativa, poi, come risposta, il suo oggetto.
O Edipo o la Sfinge devono morire, lui divorato dal mostro, lei precipitata nell'abisso. È il segreto del suo
sapere sull'Uomo che tiene in vita il mostro. Non è certo la definizione a essere il lato micidiale dell'enigma.
Ciò che decide chi deve vivere o morire è invece la risposta, ossia l'Uomo. La Sfinge , ovviamente , già la
conosce: il suo sapere è completo. Indovinando la risposta e componendola con la domanda, Edipo si
appropria precisamente di tale sapere. Nel passaggio dal segreto dl mostro alla parola umana, essa non perde
il suo effetto micidiale. Sembra dunque che ci sia qualcosa di costitutivamente mostruoso nel sapere
sull'Uomo. Nell'Uomo sta il vero marchio del mostro. L'Uomo appunto: un universale che è tutti proprio
perché non è nessuno, un'ibrida creatura generata dal pensiero. Una celebre pittura vascolare illustra Edipo
di fronte alla Sfinge nell'atto di risolvere l'enigma. Egli non parla, indica col dito stesso. La situazione è
davvero paradossale. Quando ancora egli non sa chi egli è, Edipo si riconosce nella definizione dell'Uomo.
più che un paradosso, sembra allora, l'ennesimo gioco crudele del mostro. Perché è proprio in quanto egli
non sa chi è, che Edipo può identificarsi con l'uomo su cui verte la definizione. Poiché Edipo non sa affatto
chi è o, meglio, crede di saperlo ma si inganna, là dove l'universale pretende realtà a scapito dell'unicità, egli
è già nella posizione più adatta. L'alternativa mortale della sfida, tra Sfinge ed Edipo, è dunque anche
l'alternativa mortale tra l'Uomo astratto e l'unicità concreta. Nella sentenza "io, l'Uomo", è precisamente la
realtà dell'io a morire. Sembra quindi necessario che, per l'efficacia filosofica dell'enigma, Edipo non sappia
ancora chi egli stesso è. Sofocle, il pubblico ateniese e ovviamente noi, invece, lo sappiamo benissimo: anzi,
siamo tenuti a saperlo con dovizia di particolari. La scena presuppone la conoscenza del mythos che da
tempo immemorabile narra la storia di Edipo. Il mito è capace di narrare all'un tempo la "vera" storia di
Edipo, ossia la storia di chi egli è, e la storia "falsa" che glilo fa ignorare. La morte di Laio è
contemporaneamente l'omicidio di uno sconosciuto e un parricidio, l'unione con Giocasta è
contemporaneamente un legittimo matrimonio e un incesto. Ciò che regge la doppia narrazione è la sua
nascita: di cui egli ignora la verità che il mito invece conosce. Egli non s'imbatte casualmente nella verità
della sua nascita, bensì la cerca. E viene a conoscere la sua identità dal racconto esterno che altri gli fanno.
Per Edipo è cominciata l'avventura della narrazione. Come sappiamo, si tratta di un'avventura dall'esito
infelice. Dalla narrazione altrui, Edipo viene a sapere della sua vera nascita e perciò della sua vera storia.
Edipo non sa chi è perché ignora la sua nascita, solo il racconto della sua nascita può quindi svelargli la
storia di cui egli è protagonista. Conoscere se stesso, per Edipo, significa conoscere la sua nascita, perché lì
la sua storia è cominciata. Sempre, infatti, la storia di vita di qualcuno comincia dove comincia la sua vita.
Ignorando la verità della sua nascita Edipo ha potuto credersi un altro, ma non ha mai potuto diventare un
altro. Per quanto il mito di Edipo sia tremendo, esso nella sua struttura elementare, dice di un daimon,
Valentina Ducceschi Sezione Appunti
Tu Che Mi Guardi, Tu Che Mi Racconti Di Adriana Cavarero