DIRITTO
COMMERCIALE
Appunti di Giada Marconi
Università degli Studi di Pisa
Facoltà: Economia e Management
Corso di Laurea in Economia e Legislazione dei Sistemi logistici
Esame: Diritto commerciale e dei trasporti
Docente: Francesco Barachini
A.A. 2021/2022
Tesi
online
A P P U N T I
TesionlineDIRITTO COMMERCIALE
L’IMPRESA E LA FATTISPECIE
DIRITTO DELL'IMPRESA
Il diritto commerciale regola l’attività di impresa con uno statuto generale dell’imprenditore
che disciplina il fenomeno dell’azienda e della concorrenza.
Art. 2082 c.c. - Attività d’impresa
➔ “E’ imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
Tutti gli imprenditori (agricoli e commerciali, piccoli e grandi, privati e pubblici) sono
assoggettati ad una disciplina base comune.
Non troviamo riferimento alla natura dell’imprenditore e neppure in riferimento all’impresa se
è pubblica o privata. La norma si compone di tre parti:
● Imprenditore: è un soggetto che esercita un’attività, ponendo un insieme di atti per
raggiungere uno scopo, esercita l'attività in modo economico, professionale e
organizzato;
● Attività: atti coordinati al fine della produzione e scambio di beni e servizi, è
irrilevante la natura dei beni e dei servizi, l’importante è che vi sia un’attività
produttiva (es. è attività d'impresa un’attività ricreativa o culturale: case di cura,
convitti) che produce un’utilità e non di mero godimento;
● Attività di impresa organizzata: svolta con organizzazione dall’imprenditore dei vari
fattori produttivi (lavoro e capitale) per lo svolgimento dell’attività produttiva.
Il sistema del diritto commerciale ruota intorno a questa norma fondamentale.
Questa norma sembra che parli di chi esercita quell’attività, ma non dell’attività.
GLI ELEMENTI DELLA FATTISPECIE
La norma si scompone in 4 elementi:
1. esercizio dell’attività produttiva (cuore)
2. professionalità (chi esercita)
3. organizzazione
4. economicità
ATTIVITÀ PRODUTTIVA
«E’ imprenditore chi esercita […] un'attività […] al fine della produzione o dello scambio di
beni o di servizi».
La norma afferma che c’è attività produttiva se l’attività è volta alla creazione di un nuovo
bene o un nuovo servizio attraverso un processo di trasformazione. Lo scambio invece è
un’attività intermediaria volta alla produzione di un servizio: a chi produce di vendere un
1bene e a chi compra di recepire il bene. Il legislatore è stato sovrabbondante nel precisare
l’attività di scambio, perché l’attività produttiva già comprende la produzione di servizi.
L’attività non ha carattere produttivo quando si tratta di attività di mero godimento. È
quell’attività in cui un soggetto utilizza o si avvale di una cosa al solo fine di trarne da quel
bene ogni utilità d’uso o utilità di scambio, quindi attività che non creano nuova ricchezza
all’interno del sistema economico.
Es. locazione: se ho un appartamento, lo posso abitare, oppure lo posso concedere in
locazione ad un terzo con un canone di affitto (utilità di scambio). Ne traggo direttamente un
vantaggio o uno scambio, senza creare nuovi prodotti o nuovi servizi. Quando c’è l’impresa
occorre che ci sia l’attività produttiva.
Un'attività può però costituire allo stesso tempo godimento di beni preesistenti e produzione
di nuovi beni o servizi. Ed in tal caso, in presenza degli altri requisiti richiesti dall'art. 2082, fa
acquistare la qualità di imprenditore. Così, è attività di godimento e produttiva (di servizi)
l'attività del proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo, pensione o
residence.
ORGANIZZAZIONE
«E’ imprenditore chi esercita […] un'attività […] organizzata […]».
L’attività di impresa deve essere organizzata. L’attività di impresa è organizzata quando
l’imprenditore programma, utilizza, impiega e coordina i fattori produttivi propri o altrui
(capitale e forza lavoro, apparato produttivo).
La prima indicazione è che il requisito dell'organizzazione e della professionalità,
nonostante siano autonomi, si parlano: l’organizzazione ausilia la professionalità.
L’altra considerazione è che si può dire che l'attività d’impresa sia tendenzialmente
spersonalizzata, non dipende solo dall’imprenditore ma dal contenuto dell’attività
produttiva, cioè è separata dalla soggettività dell’imprenditore poiché l’imprenditore può
trasferirne la proprietà e l’esercizio ad altri.
Problema: differenza tra atività di impresa e lavoro autonomo (etero-organizzazione vs.
auto-organizzazione).
L’attività di impresa a cui allude l’art 2082 del cc. si riferisce ad un etero organizzazione,
ovvero nel proprio processo produttivo si combinano fattori produttivi diversi.
L’attività che si riferisce all’esercizio del lavoro autonomo allude ad un auto-organizzazione,
cioè l’imprenditore semplicemente pianifica il proprio lavoro, e non si avvale di impiegare o
coordinare altri fattori produttivi.
La semplice organizzazione del lavoratore autonomo non può essere considerata attività di
impresa, occorre che ci sia un minimo di etero organizzazione, quindi i fattori produttivi non
devono essere solo dell’imprenditore, ma anche di altri soggetti. Nel momento in cui investe
e passa a fattori produttivi esterni si passa da auto-organizzazione a etero-organizzazione.
ECONOMICITÀ
«E’ imprenditore chi esercita […] un'attività economica […]».
2L’attività di impresa deve essere condotta dall’imprenditore con metodo economico, cioè
deve essere volta alla remunerazione dei fattori produttivi (pareggio tendenziale tra ricavi
e costi). Il criterio dell’economicità è un criterio di cui ci si avvale ex-ante, ma non è detto che
venga rispettato nel corso dell’attività produttiva.
C’è economicità quando l'imprenditore ha ricavi sufficiente per coprire i costi. Economicità
vuol dire autosufficiente. Alla fine dell’anno quei costi saranno coperti dai ricavi e consente di
mandare avanti la mia azienda.
Quando un’attività non è economica?
Non possono considerarsi imprese quelle attività che non si propongono alla copertura dei
costi produttivi, cioè le attività di semplice erogazione (aziende di mera erogazione). Quando
si applica un prezzo o si eroga un servizio senza chiedere un corrispettivo, o non stimato
ex-ante, idoneo a coprire i costi. Si genera ricavi non capaci di coprire i costi sostenuti.
Es. una mensa per i poveri che fornisce il servizio mensa senza corrispettivo: in questo caso
abbiamo un'attività di produzione di un servizio, del tutto simile a quella di un ristorante, ma
non è un'attività di impresa, perché programmaticamente non si propone di coprire con i
ricavi i costi di produzione. È un'azienda di pura erogazione (eroga le proprie risorse
economiche, senza corrispettivo o con un corrispettivo simbolico, che non propone la
copertura dei costi produttivi).
Lo stesso discorso si dovrebbe fare anche per attività di produzione di servizi che praticano
un prezzo politico: un'azienda di trasporti che applica tariffe talmente basse da essere
assolutamente incapace di coprire i costi produttivi, non è un'impresa perché non segue il
criterio di economicità.
Questo non significa che non sono imprese quelle che non riescono a coprire i costi di
produzione: non sono imprese solo quelle che programmaticamente non intendono coprire
tali costi. Se un'impresa ha dei costi talmente elevati per cui non riesce a coprire tali costi
con i ricavi, resta un'impresa. Se la finalità dell'attività è rivolta alla copertura dei costi e può,
quantomeno, realizzare un profitto, allora siamo nell'ambito dell'attività imprenditoriale, sia
che questo fine venga raggiunto, sia che per ragioni di mercato questo fine non venga
raggiunto.
Cosa ben diversa è il caso delle aziende di erogazione dove l'attività è intenzionalmente non
rivolta alla copertura dei costi di produzione, ma alla erogazione diretta del patrimonio.
Problema: rapporto tra metodo economico e metodo lucrativo
Il metodo economico si differenzia dal metodo lucrativo, il primo viene rispettato nel
momento in cui avviene la remunerazione dei fattori della produzione, ovvero il tendenziale
pareggiamento dei ricavi e dei costi, mentre il secondo viene rispettato nel momento in cui
l’ammontare dei ricavi supera l’ammontare dei costi. Si ha un’eccedenza che equivale
all’utile, quando quell'attività non punta al pareggio tra costi e ricavi, ma quando crea un
surplus. Massimizzare i ricavi e minimizzare i costi. La società è una particolare figura
qualificata allo scopo di lucro.
PROFESSIONALITÀ
3«E’ imprenditore chi esercita professionalmente un'attività […]».
Significa che l’attività deve essere esercitata in modo abituale, stabile nel tempo, e non
occasionale (professionalità = abitualità): non è imprenditore chi organizza un singolo
servizio di trasporto o un singolo spettacolo sportivo. Ma ci sono delle problematiche:
1. attività cicliche o stagionali; è professionale perché ha carattere ciclico: quell’attività
c’è in quel determinato periodo, ma non abbiamo la certezza che ci sia domani. Es.
se un soggetto ha uno stabilimento balneare ed esercita attività solo nel periodo
estivo è attività di impresa? Si, perché quell’attività di impresa è esercitata in quei
mesi ma con cadenza abituale, quindi “abituale” non significa in maniera
“continuativa”, ma con “cadenza abituale”. L'attività stagionale è professionale, ha
carattere ciclico. Si interrompe con l’inverno e riprende con la stagione estiva. Si può
avere professionalità anche con delle pause ma l’importante è che ci sia questo
carattere rotatorio, ovvero che si riprenda.
1. attività collaterali: il requisito della professionalità non richiede neppure che l’impresa
sia l’unica attività oppure la principale attività del soggetto. Da questo si deduce che
è possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività d'impresa
2. compimento di un unico affare, ha carattere professionale poiché anche se si
esaurisce in un unico compimento, può perdurare nel tempo. Non hanno un fine
programmato. Anche l’attività non avente carattere perpetuo, ovvero compimento di
un unico affare, ha carattere di professionalità, anche se nasce programmaticamente
nulla esclude che possa essere attività professionale.
Se manca anche uno solo di questi elementi (attività produttiva, professionalità,
organizzazione, economicità) non si può parlare di attività di impresa, e di conseguenza non
ci troviamo nei termini della fattispecie.
La norma non parla di destinazione al mercato dei beni e servizi ed inoltre non ci dice del
problema dell’impresa immorale o illecita.
1. Destinazione al mercato
L’impresa per “conto proprio” è un’impresa che è volta alla soddisfazione di un
bisogno individuale. La sua attività non è destinata al mercato, ma al suo
funzionamento, cioè non ha alcun tipo di scambio con lo stesso. Nulla esclude che
l’impresa per conto proprio debba essere qualificata come tale.
2. Illecità dell’attività
L’attività di impresa non può essere qualificata come tale se si tratta di un’attività
illegale o immorale.
L’impresa meramente illegale: vi è quando un imprenditore esercita attività di impresa
violando le norme per l’esercizio dell’attività (es. mancanza di autorizzazione dalle autorità
competenti), ma l’oggetto dell’attività è lecita. Può essere condotta ma vietata in determinate
condizioni. Può essere qualificata a tutti gli effetti come impresa, ma con conseguenza di
sanzione perché manca una concessione.
4L’impresa immorale ha un contenuto vietato e illecito in qualsiasi caso (contrabbando di
sigarette, traffico di armi o di sostanze stupefacenti, attività di prostituzione). Vige una gravità
che la legge non può riconoscere nel senso morale, nei suoi fondamenti.
IMPRESA E PROFESSIONI INTELLETTUALI
Art. 2238 c.c.
➔ “Se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in
forma d’impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II [Del lavoro
nell’impresa].”
Ratio: «per libera opzione» del legislatore.
L’art. 2238 C.C. stabilisce infatti che le disposizioni in tema di impresa si applicano alle
professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di un'attività
organizzata in forma di impresa. È il caso del medico che gestisce una clinica privata nella
quale opera; del professore titolare di una scuola privata nella quale insegna; quell’artista
titolare di un teatro dove recita. In tutti questi casi si è in presenza di due distinte attività:
intellettuale e di impresa.
Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non diventa mai
imprenditore neanche se si avvale di una folta schiera di collaboratori o avvalendosi dei
mezzi strettamente necessari all’esplicazione delle proprie energie intellettuali.
Ma perché tale esonero?
La risposta non è facile da dare in quanto i requisiti propri dell’attività di impresa si ritrovano
anche nell’esercizio delle professioni intellettuali infatti quest’ultimi svolgono un’attività
produttiva di servizi, di regola condotta con metodo economico ed anzi a scopo di lucro.
È inoltre attività nel quale l’organizzazione di capitale e di altrui prestazioni lavorative può
assumere rilievo preminente rispetto alla prestazione d’opera intellettuale del professionista.
Da ciò si desume quindi che i professionisti non sono imprenditori per libera scelta
del legislatore, questa scelta è dettata dalla considerazione sociale che tradizionalmente
circonda le professioni intellettuali e che quindi questo ha portato il legislatore del 1942 a
dettare uno statuto specifico per essi. Quindi i professionisti intellettuali sono esonerati dallo
statuto dell’imprenditore con i suoi vantaggi (sottrazione al fallimento), ma anche ai suoi
svantaggi (inapplicabilità della disciplina dell’azienda, dei segni distintivi e della
concorrenza).
IMPRESA E IMPRENDITORI
CRITERI DI SELEZIONE DELLE IMPRESE
Il legislatore non si limita a dare una definizione generale di impresa, ma scompone la
fattispecie ricavando delle sottoclassificazioni. Quindi le imprese hanno tutti i caratteri
dell’articolo ma si distinguono per caratteri aggiuntivi.
I tre criteri distintivi in funzione di prospettive differenti sono:
51. oggetto dell’attività: è possibile individuare due fattispecie: impresa la cui natura è
agricola e impresa il cui oggetto è commerciale
2. dimensioni dell’attività: livello quantitativo. Sotto questo profilo abbiamo due
fattispecie: la piccola impresa e l'impresa medio-grande
3. natura del soggetto che esercita l’attività: il codice distingue tra impresa individuale
(esercitata da un solo soggetto) e collettiva (esercitata da una collettività = impresa
societaria)
I primi due si possono combinare tra di loro.
Il ruolo dal punto di vista normativo di queste fattispecie non è il medesimo.
DISTINZIONE IN FUNZIONE DELL’OGGETTO
Il legislatore conosce due fattispecie sotto questo punto di vista:
Impresa commerciale:
➔ Art. 2195 c.c. - Imprenditori soggetti a registrazione
“Sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che
esercitano:
1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4) un’attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti.”
Manca il riferimento alla commercialità. L’impresa commerciale è soggetta a un determinato
regime (iscriversi al registro delle imprese, tenere le scritture contabili, sono soggette a
fallimento). Queste imprese sono soggette all’obbligo di iscrizione perché sono commerciali
(secondo l’articolo).
Nel secondo comma c’è la chiave di lettura a questo dubbio.
Quando troviamo una norma che il legislatore attribuisce all’impresa commerciale bisogna
guardare questo articolo.
Per attività industriale si intende tutto ciò che non rientra nella nozione di imprenditore
agricolo di cui all’art. 2135, per attività intermediaria si intende quell’attività volta all’incontro
di domanda e offerta di un prodotto o servizio
E’ un elenco per certi aspetti è sovrabbondante: il legislatore menziona dell'attività che
poteva omettere; si poteva fermare ai numeri 1 e 2, perchè gli altri sono già compresi nelle
previsioni precedenti.
6Il numero 3: è tipicamente un’attività di produzione di un servizio (compreso in 1)
Il numero 4: l’attività bancaria è un’attività intermediaria (compreso in 2) e l’attività
assicurativa è la produzione di un servizio (compreso in 1)
Il numero 5: è un’attività strumentale all’esercizio di un’attività, attività produttiva di un
servizio (compreso in 1).
Impresa agricola
➔ Art. 2135 c.c.
“E' imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del
fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali si intendono le
attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria
del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il
fondo (non importa se questo ciclo sia necessariamente legato ad un fondo) , il
bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore
agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di
animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante
l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente
impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del
territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come
definite dalla legge.”
Il 2135 distingue due principali attività:
➔ attività agricole essenziali: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali
e le attività connesse a queste. Con riguardo alle attività principali esse sono dirette
alla cura del ciclo biologico: ciclo riproduttivo su base naturale; l’attività umana è
ausiliare a promuovere un ciclo produttivo su base naturale. La norma dice che non
importa se questo ciclo è necessariamente legato ad un fondo perchè dice che
utilizzano o possono utilizzare il fondo (attività industrializzata).
➔ attività connesse: attività che presuppongono un’attività agricola principale e che
sono legate a quella da un rapporto di connessione quando trasformo il prodotto
agricolo. Potrebbe definirsi commerciale, ma il legislatore dice che quando l’attività è
legata ad un'attività principale l’attività connessa si qualifica come agricola in ragione
di questo rapporto di connessione. Ci sono due criteri per determinare la
connessione:
1. connessione soggettiva: ovvero svolte prevalentemente dal medesimo
soggetto che svolge attività agricola e inoltre attività coerente con quella
connessa. E’ quindi imprenditore commerciale chi trasforma o
commercializza prodotti agricoli altrui. Ed è parimenti imprenditore
commerciale il viticoltore che produce formaggi. Resta invece imprenditore
agricolo il viticoltore che produce vino.
72. connessione oggettiva:
- connessione per prodotto: sono attività che sono volte alla
commercializzazione e trasformazione dei prodotti ottenuti
prevalentemente dalle attività agricole principali.
- connessione per azienda: devono essere svolte prevalentemente da
mezzi o prodotti ottenuti dalle attività principali
- elemento comune, prevalenza: l’attività connesse non devono
prevalere per rilievo economico all’attività agricola essenziale.
Es. un barattolo di pomodoro che viene realizzato per la vendita da un
imprenditore agricolo, utilizzando il 50% dei pomodori più 1, è un
imprenditore agricolo che svolge attività connesse (integrando così il
requisito della prevalenza).
La norma parla di due attività connesse:
● chi commercializza prodotti agricoli
● per servizio, si reputano connesse anche quelle attività diverse dall’attività essenziale
e che si differenziano dalla produzione di un servizio. Diventa agricola quando la
svolgo avvalendomi in prevalenza di attrezzatura o risorse della mia azienda agricola
Sono considerate attività agricole anche le attività di ricezione e ospitalità: agriturismi.
L'imprenditore agricolo utilizza le strutture dell’impresa agricola per erogare un servizio.
Il legislatore ha voluto fare una distinzione tra impresa agricola e commerciale dato che
un'impresa non può essere agricola e commerciale.
L’impresa commerciale è soggetta a un determinato regime (iscriversi al registro delle
imprese, tenere le scritture contabili, sono soggette a fallimento); l'impresa agricola non è
soggetta a queste fattispecie perchè, secondo il legislatore, l’imprenditore agricolo merita un
trattamento diverso dato che può essere soggetto a un duplice rischio:
1. uno insito nell'attività agricola: legato alla natura (gelata)
2. rischio economico
Quindi l’imprenditore agricolo è un imprenditore che si assume un rischio di impresa che
dovrebbe essere maggiore del rischio di impresa assunto dall’imprenditore commerciale
DISTINZIONE IN FUNZIONE DELLE DIMENSIONI
Impresa piccola
➔ Art. 2083 c.c.:
“Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli
commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata
prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.”
Per essere piccolo imprenditore bisogna che vi sia presente il requisito della prevalenza del
lavoro (proprio e della famiglia) rispetto agli altri fattori della produzione (capitale, lavoro
altrui, ecc.).
8Ha un ruolo sottrattivo in quanto serve a dire che quando un’impresa è sottosoglia non gli si
applica la disciplina commerciale, come nell'impresa agricola. Questa disciplina si giustifica
quando l'impresa è di dimensioni accettabili dato che c’è più allarme sul piano economico e
sociale. Quindi non è tenuto all’obbligo della regolare tenuta delle scritture contabili, cosa
che invece non riguarda l’imprenditore medio-grande
Il criterio dimensionale, che si affida al parametro della prevalenza, non è quantificato. Se
quelle categorie (artigiano, coltivatore) debbano anche loro essere valutate in luce della
prevalenza, si è sempre imprenditore o lo si è quando c’è il requisito della prevalenza? Si,
questo criterio vale per tutti
La prevalenza è rispetto all’elemento dell'organizzazione: l’attività d'impresa, per effetto
dell’organizzazione, è tendenzialmente spersonalizzata; nel processo produttivo c’è un
elemento organizzativo che non è del tutto indifferente rispetto alle qualità personali
dell'imprenditore. Il processo produttivo è frutto sì di un apporto di risorse ma in modo
prevalente delle capacità personali del soggetto titolare (bottega artigiano, il processo
produttivo non è replicabile). Il criterio della prevalenza misura sia il peso economico sia
l’apprezzamento (paramento quali-quantitativo); la prospettiva delinea un risultato che è
dipendente dalle qualità personali del soggetto titolare. Senza l’apporto prevalente
dell’imprenditore e dei propri familiari non sarebbe stato realizzato l’esercizio di quell’attività
di impresa.
Criticità della norma: evoca un parametro che ha una sua logica ma che non è
maneggiabile sul campo applicativo. Questo spiega il perché in passato, a determinati fini, il
legislatore utilizzava un criterio dimensionale diverso, più oggettivo, ai fini di fallimento.
Uno dei riflessi della piccola impresa è l'esenzione al fallimento. Quando si parla di soglie
dimensionali ai fini del fallimento si elenca alcuni criteri quantitativi. E’ successo che nel farlo
il legislatore non ha detto che sono piccoli imprenditori quelli che stanno in soglie
dimensionali. Questo fa sì che oggi abbiamo due diversi paramentri di riferimento
dimensionali: la prevalenza (applicare le disposizioni del codice civile) e l’art 1 (parametri
quantitativi che valgono ai soli fini fallimentari = regole concorsuali)
➔ Art. 2221 c.c. (ante riforma del 2019, abrogazione):
“Gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi […] i piccoli
imprenditori, sono soggetti, in caso d’insolvenza, alle procedure del fallimento e del
concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali.”
➔ Art. 1, comma 2, l. fall. (post riforma del 2006):
“Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli
imprenditori […] i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di
fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di
ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
9b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di
deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi
lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro
cinquecentomila.”
Prima della riforma del 2006 venivano considerati piccoli imprenditori quelli esercenti di
attività commerciale, tale che gli sia stato riconosciuto un reddito inferiore ad x. Dopo la
riforma del 2006 scompare il riferimento espresso al piccolo imprenditore (parliamo di
imprenditore sotto o sopra soglia), non viene assoggettato alla procedura fallimentare
quando dimostrano i requisiti sopra citati
LO STATUTO DELL’IMPRESA COMMERCIALE
E’ un'espressione che vuole descrivere l'insieme delle norme che riguardano l’impresa
commerciale (medio-grande). In questa prospettiva, assumendo che il riferimento è lo
statuto dell’impresa commerciale, non consideriamo l’impresa agricola e l’impresa piccola,
questo perché c’è la consapevolezza del fine di questa disciplina (ratio): tutelare i terzi che
entrano in rapporto con l’imprenditore immaginando che occorra proteggere i creditori
dell’impresa perché ogni fenomeno imprenditoriale si basa sul ricorso al credito sul
presupposto che così facendo si incoraggia l’attività d’impresa. Se questo dà vantaggio
all’impresa questa diventa più percepibile laddove si consideri che il creditore è a sua volta
imprenditore. Si pone l'attenzione all'impresa commerciale di rilevanti dimensioni a tenere
delle cospicue relazioni commerciali, quelle piccole sono minori per la natura dell’impresa e
si spiega perché il piccolo imprenditore venga esonerato dalla disciplina, crea minor allarme
sociale.
Gli elementi comuni alle altre categorie di imprenditori sono:
● Inizio e fine dell’attività di impresa: se c’è una regola che si applica ad un
imprenditore bisogna capire da quando e fino a quando si applica: quando si può dire
chè iniziata l’attività d’impresa e quando finisce per capire quando la regola è
applicabile
● L’imputazione dell’attività d'impresa: si allude al riferire a qualcuno una determinata
regola.
Gli elementi tipici della disciplina dell’impresa commerciale:
● La pubblicità commerciale e l’iscrizione nel registro delle imprese, portare a
conoscenza di terzi determinate circostanze
● L’obbligo di tenuta delle scritture contabili, redigere dei documenti per documentare
fatti rilevanti concernenti l'esercizio dell'attività dell'impresa
● La rappresentanza commerciale, detta le regole quando l'imprenditore ha rapporti
con terzi avvalendosi di un proprio rappresentante
● La crisi d’impresa, quale disciplina si applica quando l'impresa commerciale è
insolvente
ELEMENTI COMUNI
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