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Il giudizio di cassazione e la fase di rinvio


L’altro grande mezzo generale di impugnazione delle sentenze è il ricorso per cassazione, ricorso che da vita al giudizio di cassazione di fronte alla Corte Suprema di cassazione.
La Corte di cassazione è un giudice centralizzato con sede a Roma, ed è un organo investito di molteplici funzioni istituzionali, quali in particolare il controllo della giurisdizione e la c.d. funzione nomofilattica, ossia la funzione che l’ordinamento attribuisce alla corte di cassazione di garantire la corretta osservanza della legge e la uniformità del diritto oggettivo nazionale, della interpretazione dell’applicazione del diritto nazionale, secondo la formula dell’art 65 ord giud.

I PROVVEDIMENTI IMPUGNABILI
Ai sensi dell’art 360, sono ricorribili con ricorso per cassazione le sentenze d’appello, cioè le sentenze pronunciate in secondo grado, sicchè normalmente il giudizio di cassazione configura una sorta di “terzo grado di giudizio”. Sono quindi ricorribili le sentenze della corte d’appello che ha pronunciato come giudice d’appello delle sentenze del tribunale, e le sentenze del tribunale che ha deciso in secondo grado nei confronti delle sentenze appellabili del giudice di pace.
Sono poi ricorribili per cassazione le sentenze “in unico grado” (art 360): si tratta delle sentenze del tribunale pronunciate secondo equità su richiesta concorde delle parti che sono inappellabili, e le sentenze della Corte d’appello nelle ipotesi in cui essa sia investita della controversia non quale giudice d’appello bensì quale giudice di unico grado.
E’ ricopribile ancora per cassazione la sentenza pronunciata dal Tribunale quando le parti abbiano concordemente rinunciato all’appello. La rinuncia all’appello è ammessa anche anteriormente alla pronuncia della sentenza e permette alla parte soccombente di portare la sentenza direttamente in cassazione, ma solo per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto.
A parte vanno considerati quei provvedimenti emessi in forma diversa dalla sentenza (ordinanze, decreti), che decidono su diritti e che si presentano “in unico grado”.
Contro tale tipo di provvedimenti è sempre ammesso il ricorso per cassazione c.d. “straordinario” in forza dell’applicazione diretta dell’art 111 c7 cost.

I MOTIVI DI RICORSO
Il ricorso per cassazione si presenta coma una tecnica specifica di impugnazione che potremmo chiamare “impugnazione a motivi obbligati”.
Per essere ammissibile, il ricorso per cassazione deve far rientrare l’errore denunciato in uno, o più dei motivi ammessi dall’art 360. L’avvocato della parte soccombente deve quindi indagare in che termini, e in che limiti, il vizio della sentenza possa tradursi in uno dei motivi elencati dall’art 360: la Corte infatti verificherà pregiudizialmente che la censura alla sentenza corrisponda ad uno dei motivi ammessi. Ne segue che le censure non inquadrabili in alcuno dei motivi contemplati dalla legge, sono inammissibili.
I motivi esposti dall’art 360 sono 5 e si possono raggruppare in 3 gruppi.
a) un primo gruppo attiene alla violazione e alla falsa applicazione delle norme sostanziali utilizzate quale metri di giudizio per le situazioni soggettive coinvolte;
b) il secondo gruppo di errori è relativo alla violazione di norme processuali. Per applicare la norma sostanziale il giudice deve seguire le regole procedurali: se sbaglia nella applicazione di queste regole commette un errore censurabile in cassazione:
c) il terzo gruppo di errori deriva dalla violazione delle regole che presiedono alla corretta soluzione delle questioni relative ai fatti di causa, sotto il profilo della correttezza dell’argomentazione.

Più in particolare, il ricorso è ammesso:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione.
Quando la parte soccombente ritenga violate le norme sulla giurisdizione, può ricorrere per cassazione per chiedere che applicate correttamente tali norme, la Corte cassi la sentenza che le ha violate.
2) per violazione delle norme sulla competenze quando non è prescritto il regolamento di competenza
La parte soccombente può chiedere la cassazione della sentenza quando ritenga violate le norme sulla competenza, sempre che l’incompetenza non si sia sanata per mancata rilevazione rituale nei termini.
Una sentenza deve essere necessariamente impugnata con regolamento di competenza quando pronuncia solo sulla competenza in virtù dell’art 42; le sentenze che pronunciano sulla competenza sono impugnabili esclusivamente con il regolamento di competenza.
3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Con il terzo motivo passiamo al gruppo di motivi che riguardano la interpretazione e l’applicazione della legge sostanziale. “Norme di diritto” significa norme del diritto sostanziale, norme che regolano i rapporti giuridici tra le parti creando obblighi, attribuendo diritti o comunque conformando le situazioni sostanziali
4) per nullità della sentenza o del procedimento
“Per nullità della sentenza o del procedimento” significa per mancato rispetto delle norme che regolano l’attività delle parti e l’attività del giudice intesa questa come attività propria, dei propri atti e come attività di controllo costante nel corso del procedimento dell’attività delle parti.
5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.   

Con il n.5 ci spostiamo sui vizi di motivazione della sentenza, sulla giustificazioni di quanto deciso.
Quando si parla di omessa motivazione ai sensi del n.5, non ci si riferisce alla motivazione mancante.
Parlando di omessa motivazione intendiamo dire che anche una motivazione presente graficamente può non spiegare affatto la decisione.
Accanto all’omessa motivazione il legislatore pone:
- l’insufficiente motivazione, che si ha quando una giustificazione della conclusione è prospettata;
- la contraddittoria motivazione, che si ha quando il ragionamento del giudice cade in contraddizione;
I vizi di omissione, insufficienza o contraddizione della motivazione debbono cadere “su fatto controverso e decisivo per il giudizio”, cioè su un punto di fatto che non si debba considerare espressamente o implicitamente riconosciuto, e di cui si possa dire che, se fosse stato sciolto in un altro modo, avrebbe condotto a una decisione differente.

Tratto da PROCEDURA CIVILE di Alessandro Remigio
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