L'adattamento al diritto comunitario
Ai Trattati istitutivi della Comunità Europea si è data esecuzione con legge ordinaria. Pertanto non solo hanno acquistato forza giuridica le norme del Trattato, ma automaticamente acquistano la stessa forza, via via che vengono emanate, le norme dei regolamenti comunitari. L'art. 189 del Trattato espressamente prevede che i regolamenti siano direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Il regolamento è così una fonte normativa non prevista dalla Costituzione, ma che non comporta una violazione della Carta fondamentale, per effetto della previsione all'art.11 che ammette limitazioni alla sovranità nazionale.
La diretta e automatica applicabilità dei regolamenti riguarda la forza formale dei regolamenti stessi: creano diritti ed obblighi, indipendentemente da un provvedimento di adattamento ad hoc. Tuttavia, ocn ciò non si vuol dire che i regolamenti siano self-executing anche per il loro contenuto, poiché possono esserci regolamenti incompleti o che, per avere applicazione, hanno bisogno di essere integrati. Per i regolamenti che lasciano ampi margini di discrezionalità alle autorità statali è necessaria una legge di attuazione.
Le direttive e le decisioni comunitarie non sono, invece, direttamente applicabili, ma hanno bisogno di una legge di adattamento ad hoc (che sia legge ordinaria, decreto legislativo o decreto legge). In genere questo adattamento è eseguito mediante procedimento ordinario: è senza rinvio e il provvedimento interno ne riformula il contenuto. La direttiva pone un obbligo di risultato, lasciando libertà di mezzi e di forma. Quali effetti costituiscono un corollario dell'"obbligo di risultato" e quindi si producono subito e quali sono condizionati a "forme e mezzi" e si producono solo dopo l'atto ad hoc?
Le direttive creano tre effetti c.d. "diretti".
1. quando il giudice interpreta una norma interna su una materia disciplinata da una direttiva, tale interpretazione deve avvenire alla luce della direttiva.
2. se la direttiva riproduce un obbligo di un trattato, la sua interpretazione è vincolante.
3. se la direttiva comporta un obbligo di risultato senza un atto di esecuzione necessario, gli individui possono farla valere davanti al giudice.
Quest'ultimo effetto può essere invocato solo contro lo Stato (c.d. effetti verticali) e non anche nelle controversie tra individui (c.d. effetti orizzontali): la direttiva fa nascere degli obblighi a carico dello Stato e lo Stato risponde del ritardo o dell'inattuazione della direttiva. Questa tesi viene per lo più accettata, ma è anche criticata perché frutto di un'intepretazione troppo letterale: il fatto che a rispondere sia lo Stato, se ad esempio una direttiva crea dei diritti nei confronti del lavoratore dipendente, il dipendente della pubblica amministrazione potrà chiamare a rispondere lo Stato per l'inattuazione, ma il lavoratore privato non potrà dir nulla contro il suo datore privato. Il risarcimento dei danni può essere dovuto nei casi di inattuazione di direttive che attribuiscono diritti.
In che rapporto stanno le norme comunitarie con le leggi ordinarie?
La Corte costituzionale ha assunto pareri contrastanti.
Nel 1964 riteneva che i trattati (ricevendo applicazione con legge ordinaria) sono di pari grado con la legge e pertanto possono essere abrogati o modificati da leggi successive. Nel 1975 ha ritenuto che la violazione del diritto comunitario ad opera delle leggi ordinarie costituisca violazione dell'art. 11 Cost., che stabilirebbe una prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Nel 1984, invece, ha ribadito la prevalenza del diritto comunitario, ma anche che questo e il diritto interno si devono coordinare secondo le ripartizioni di competenza volute dal Trattato istitutivo della comunità. Oggi vige il principio della automatica disapplicabilità della norma interna difforme da parte del giudice ordinazio, senza bisogno di ricorrere agli altri organi di giustizia costituzionale.
I Trattati e le norme della legislazione comunitaria possono essere sottoposte al controllo di costituzionalità?
La prtecipazione all'U.E. non comporta una rinuncia ai principi costituzionali. Se è vero che i trattati e le norme comunitarie possono essere sottoposte ad un controllo di conformità con la Costituzione, è anche vero che tale controllo debba essere condotto cum grano salis, cioè a salvaguardia delle sole norme materiali della Costituzione, cioè quelle che tutelano i diritti fondamentali dei cittadini e non di quelle strumentali (che disciplinano la formazione della legge e l'organizzazione dei poteri dello Stato). L'ordine interno e quello europeo costituiscono due sistemi separati e distinti, anche se fra loro coordinati.
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Autore:
Alessandro Remigio
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- Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
- Facoltà: Economia
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