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Il rito del trono

Il rito del trono    


Caso clinico di Lea, una signora sulla cinquantina, ancora piacente, alta e signorile, benché non snella, che soffre da più di 20 anni di depressione ed è diventata una grave farmacodipendente. Fin dall’inizio manifesta la sua autorità e invadenza tanto verbale quanto analogica, che ben si accompagna con l’atteggiamento rinunciatario del marito e la sottomissione dei due figli.    
Il problema che si pone al terapeuta è costruire una strategia terapeutica che utilizzi il copione familiare, accentuando le parti recitate da ciascuno fino a farle risaltare come immagini distinte e cariche di significato affettivo.    
L’idea del trono e la sua comparsa in seduta producono una frattura brusca nell’andamento della terapia e tendono a introdurre un elemento di crisi nel sistema terapeutico. L’esasperazione dei rapporti spaziali tra i membri della famiglia (Lea sul trono, figli-sudditi ai suoi piedi, marito lontano e sottoterra) e tra questi il terapeuta (in piedi cammina per la stanza) permetterà al terapeuta di dirigere meglio il copione familiare e di introdurre nessi e interrogativi che finiranno per trasformare il significato finora attribuito ai singoli ruoli.    
Nel corso della seduta il trono diventerà un trono di farmaci: Lea può essere regale solo nella sua condizione di malata cronica. Attraverso un lavoro di costruzione di nessi e di significati relazionali il terapeuta introduce con forza l’immagine del trono nel mondo dei valori familiari. Tale immagine diventa uno stimolo persistente e perturbante, carico di interrogativi per tutti, perché è diventata in seduta concreta e tangibile: agirà come un tarlo che si insinua negli schemi mentali di ciascuno. Per dare più intensità alla costruzione del trono è utile ritualizzare anche a casa quanto agito in seduta: Lea dovrà farsi costruire una sedia-trono dai suoi 3 uomini.    
Dal trono riproposto in più occasioni dal terapeuta, in meno di 5 mesi di terapia si è passati alla poltrona del padre di Lea. Il ripercorrere insieme una storia fatta di rifiuti e di disistime, così come di aspettative magiche di accoglimento e di conferme, permette di collocare la depressione di Lea in una cornice evolutiva e di dare a lei e ai suoi familiari la possibilità di “toccarla” perché ora più comprensibile e meno cronica.

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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