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Il gioco in terapia: se anche il terapeuta impara a giocare

Il gioco in terapia: se anche il terapeuta impara a giocare    


Tra le modalità relazionali, il gioco rappresenta forse il mezzo più articolato, più ricco di sfumature, più personale per ingaggiare famiglia e terapeuta in terapia. Purtroppo è ancora poco usato dal terapeuta familiare che predilige un modello “adulto” di comunicazione. Forse il disagio nel giocare è legato alla difficoltà di spostarsi dalla comprensione di situazioni emotive alla loro rappresentazione in seduta.    
La mimesi in seduta sembra infatti confondersi con ciò che designa, ma nello stesso tempo ne è distinta grazie al segnale “questo è un gioco”.    
Un gioco come il braccio di ferro o un duello con le scimitarre possono attivare un confronto fisico, permettendo a un tempo un’espressione attiva, seppur mediata, delle reciproche aggressività e un contatto fisico che consente un analogo contatto affettivo. Per mezzo del gioco si potranno cosi analizzare e sperimentare le possibili combinazioni di idee, emozioni, unità di comportamento.    
Per giocare, è necessario che il terapeuta sposti il baricentro della propria competenza e si “conceda” al rapporto senza ancorarsi su posizioni statiche, basate più sull’astenersi che sul partecipare alla costruzione emotiva dello scenario terapeutico. Saper giocare aiuta il terapeuta a non prendersi troppo sul serio, a considerare cioè le proprie e altrui definizioni della realtà come temporanee e mutevoli; ovvero a introdurre flessibilità e incertezza nelle proprie operazioni mentali. Se saprà ricoprire parti e ruoli diversi in seduta e soprattutto se saprà giocare a spostarsi da un piano generazionale a un altro, questo darà anche agli altri il permesso di non rimanere bloccati sempre nelle stesse funzioni stereotipate.    
La sua sarà quindi azione di traduzione di modalità di pensiero diverse, e il gioco potrà diventare uno stimolo efficace per collegare il mondo degli adulti, ricco di concetti astratti e di comunicazioni verbali, con il mondo dei bambini, vibrante di espressioni non verbali e di immagini concrete.

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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