La doppia identificazione dello spettatore al cinema
Per molto tempo, negli scritti sul cinema non vi è stata una teoria dell’identificazione in senso stretto, ma al contrario un uso molto diffuso di questa parola, impiegata nella sua accezione ordinaria, un po’ vaga, per designare essenzialmente il rapporto soggettivo che lo spettatore poteva intrattenere con questo o quel tipo di personaggio del film. Le ricerche teoriche di Baudry a proposito di ciò che egli ha chiamato il dispositivo di base nel cinema, metaforizzato dalla m.d.p., hanno avuto l’effetto di distinguere per la prima volta nel cinema il ruolo della doppia identificazione, in cui l’identificazione primaria, vale a dire l’identificazione al soggetto della visione, all’istanza rappresentante, costituirebbe come la base e la condizione dell’identificazione secondaria, vale a dire l’identificazione al personaggio, al rappresentato, la sola che la parola identificazione abbia mai indicato fino a questo intervento teorico. Lo spettatore si identifica dunque meno con il rappresentato, lo spettacolo in sé, che con ciò che mette in gioco o in scena lo spettacolo; con ciò che non è visibile ma fa vedere, fa vedere con lo stesso movimento che lui, lo spettatore, vede – obbligandolo a vedere ciò che esso vede, vale a dire la funzione assicurata al luogo sostituito dalla m.d.p.
L’identificazione primaria nel cinema deve essere accuratamente distinta dall’identificazione primaria in psicanalisi: va da sé che ogni identificazione nel cinema deriva nella teoria psicanalitica dall’identificazione secondaria; al fine di evitare ogni confusione, Metz propone di riservare la nozione di identificazione primaria alla fase pre-edipica della storia del soggetto, e di chiamare identificazione cinematografica primaria, l’identificazione dello spettatore al proprio sguardo. Nel cinema, ciò che fonda la possibilità dell’identificazione secondaria, dietetica, nel caso del film di finzione, è innanzitutto la capacità dello spettatore di identificarsi al soggetto della visione, all’occhio della m.d.p. che ha visto prima di lui; l’identificazione primaria al cinema è quella per cui lo spettatore si identifica al proprio sguardo e si sperimenta come fuoco della rappresentazione, come soggetto privilegiato, centrale e trascendentale della visione. Lo spettatore ha un bel sapere che non è lui ad assistere senza mediazione a quella scena, che una m.d.p. l’ha registrata in precedenza per lui costringendolo in qualche modo in quel posto, che quell’immagine piatta, quelle tinte non sono reali ma un simulacro a due dimensioni inscritto chimicamente su una pellicola e proiettato su uno schermo; tuttavia, benché assente da quell’immagine che non gli rinvia mai, contrariamente allo specchio primordiale, l’immagine del suo corpo, lo spettatore è in esso tuttavia super-presente, in altro modo, come fuoco di ogni visione, presente come soggetto onnipercipiente e, tramite il gioco del découpage classico, onniveggente, presente come soggetto trascendentale della visione.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Cinema
- Titolo del libro: Estetica del film
- Editore: Lindau - Torino -
- Anno pubblicazione: 1999
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