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La rappresentazione filmica e i fenomeni psicologici

La rappresentazione filmica e i fenomeni psicologici



A questo stadio dell’esplorazione, un po’ ingenuamente meravigliata da una tale equivalenza tra le due discipline, fece seguito rapidamente un percorso più pragmatico, anche più utilitario, che si potrebbe così schematizzare: poiché i meccanismi intimi della rappresentazione filmica somigliano a quelli dei fenomeni psicologici essenziali, perché non considerare questa somiglianza dall’angolazione inversa? Ovvero, come dalla rappresentazione filmica, indurre delle emozioni – come influenzare lo spettatore?
In generale si può dire che questa preoccupazione, più o meno implicitamente e più o meno consciamente, comparve molto presto e fu presente in tutti i più grandi cineasti, a cominciare da Griffith, estremamente sensibile all’influenza esercitata dai suoi film; ma se il cineasta americano fu incontestabilmente il primo a giocare così bene sull’emotività dello spettatore, è in Europa che le lezioni teoriche sulla sua efficacia furono tratte davvero.
Anche in Europa, la preoccupazione di impressionare lo spettatore assunse forme molto diverse, ed è solo per un gioco di parole che si può collegare la scuola impressionista francese o l’espressionismo tedesco; ma è tra i cineasti russi che la riflessione su questo tema assunse, negli anni ’20, un andamento più sistematico.
Due motivazioni spiegano questo sviluppo: l’istituzione stessa di un cinema sovietico come mezzo di espressione, di comunicazione e anche di educazione e di propaganda, sempre più strettamente controllato da organismi di stato; e il fatto che i primi esperimenti nel campo del materiale cinematografico si sono orientati, con Kulesov e il suo laboratorio, sulle possibilità del montaggio di imporre un senso alle sequenze di immagini. Nei suoi testi critici e teorici degli anni ‘20, Kulesov non coglie le conseguenze della propria concezione del montaggio sul rapporto del film allo spettatore, e sarà uno dei suoi allievi, Pudovkin, a mettere il dito per primo, e nel modo più netto, su queste conseguenze, anche se in maniera un po’ ingenua, ponendo un’equivalenza tra gli eventi filmici e le emozioni elementari; comunque, l’importante resta prima di tutto l’affermazione dell’idea stessa di influenza esercitata sullo spettatore dal film.
Quest’idea, per quanto sia convincente, resta ancora al di qua di un calcolo reale e calcolato della forma filmica, e i tentativi in questo senso del controllo girano più o meno tutti intorno a una realizzazione dell’idea di una sorta di catalogo di stimoli elementari, a effetto prevedibile, di cui il film non dovrebbe che realizzare la combinazione sensata; è su questa base che si stabiliscono tra l’altro le tavole di montaggio. È anche sulla medesima idea che si fonda una buona parte dell’insegnamento di Kulesov, sotto forma di regole per la recitazione dell’attore, che gli prescrivono di scomporre ogni gesto in una serie di gesti elementari più facilmente controllabili, o sotto forma di regole di regia che ingiungono al cineasta per esempio di occuparsi di far coincidere al massimo i movimenti nel quadro con delle parallele ai bordi del medesimo, essendo queste direzioni considerate più facili da percepire da parte dello spettatore. Queste regole presentate talvolta come delle ricette, sono evidentemente minimali e paiono oggi assai discutibili; alcuni cineasti sovietici non smisero mai di trasformarle e di migliorare la loro pratica nella direzione dell’efficacia della forma: ad esempio Ejzenstein e tutto il suo lavoro attorno alla nozione di organicità, o anche l’importanza che, più pragmaticamente, Pudovkin accordò al lavoro sul tempo, il ritmo, la tensione – sempre nella direzione di una presa emozionale massima sullo spettatore: si vedano le sequenze finali de La madre e di Tempesta sull’Asia.
La fine di questo approccio fu precipitata nella comparsa del parlato, vale a dire di una forma di cinema nel quale, quanto meno all’inizio, l’essenziale del senso passava per il linguaggio verbale, mentre tutti gli sforzi di riflessione si erano esclusivamente concentrati sull’influenza attribuibile ai diversi parametri dell’immagine.

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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