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Oltre la pelle


Non sono presenti solo segni che riguardano la superficie del corpo: la letteratura etnografica è ricca di prove inflitte alle carni umane, dal rito della frustata alle lacerazioni dorsali praticate con una pietra, alle varie forme di circoncisione. Il dolore così vissuto è un’esperienza necessaria, un supporto e un mezzo indispensabile per attraversare la soglia della normalità e acquisire uno status diverso. Pelle e carni vengono penetrate violando un confine considerato intangibile: la pelle rappresenta il limite estremo del corpo, il labile confine che ci separa dal resto del mondo. Inoltre, l’infliggersi dolore con tagli, punture e sfregi è considerato un antidoto al dolore esistenziale, che annulla e annienta il sé, che dimostra a chi prova il dolore che è ancora vivo: soffro, dunque esisto.
Il corpo diventa quindi materia malleabile, da personalizzare a seconda degli schemi culturali o individuali, da scolpire, modellare, amputare. L’allungamento del collo tramite l’apposizione progressiva di anelli di metallo, i piattelli labiali, la dolicocefalia (allungamento del cranio), la compressione dei piedi, mettono in atto quel processo di costruzione dell’individuo sociale che viene definito antropopoiesi: azione che non si limita alla modifica della forma per manipolazione, ma che prevede l’amputazione, il taglio di parti del corpo, come nel caso della circoncisione e delle mutilazioni genitali femminili.
Meno dolorosi e condotti al di fuori di impianti rituali, anche gli interventi di chirurgia plastica rientrano nelle pratiche di modellamento del corpo, anche se realizzati a scopo terapeutico. Più intrusiva è la pratica di espianto e trapianto di organi, che da una parte salvano vite umane, ma dall’altro alimentano un traffico che ripropone il divario tra i più abbienti e tra chi non ha niente se non la nuda vita. La moderna tecnica chirurgica ha riconcettualizzato la relazione fra sé e altro, fra individuo e società e le tre forme del corpo: il sé esistenziale del corpo vivente, il corpo nella sua rappresentazione sociale, il corpo politico.
I riti di passaggio sono caratterizzati da tre fasi fondamentali: la prima è la fase di separazione, in cui gli individui escono momentaneamente dal gruppo sociale; la seconda è la fase liminale in cui i soggetti hanno abbandonato lo status precedente ma non hanno ancora quello nuovo; infine la fase di riaggregazione, che vede il rientro degli iniziati nel gruppo, carichi del nuovo status.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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