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Studio antropologico: la poligamia


Le diverse regole matrimoniali determinano anche con quanti partner si può contrarre matrimonio: la poligamia è presente nel 90% delle culture del pianeta ed è divisa in due forme, la poliginia (un marito e varie moglie) e la poliandria (una moglie e vari mariti).
La poliginia è quella più diffusa, e anche se è autorizzata presso molte culture, non sempre è comune, ma è appannaggio dei più abbienti. La differenza di diffusione maggiore della poliginia rispetto alla poliandria ha vari motivi: in tutte le società sono i maschi ad avere più diritti e a occupare una posizione preminente, e le donne sono in un numero superiore a quello degli uomini, che sono impegnati in altre attività pericolose, e poi un uomo può avere quattro figli da quattro mogli contemporaneamente, cosa che invece non può accadere con la donna. In quest’ultimo caso la poliginia è più legata alla riproduzione che non all’economia, e prevale in contesti dove le risorse principali sono umane rispetto a contesti dove prevalgono le risorse di tipo ambientale: più mogli si hanno, più figli si mettono al mondo, più terra si può coltivare, per avere maggiori guadagni e ancora più mogli. In alcune società amazzoniche vige il sororale: un uomo, sposando una donna, acquisisce il diritto di sposarne anche le sorelle.
I rapporti tra diverse mogli di uno stesso marito sono spesso conflittuali e fonte di tensione: per regolarne i rapporti, vige tra le co-mogli una gerarchia basata sull’età, dalla più anziana alla più giovane.
La pratica della poliandria è rara e solo in pochissimi casi la si riscontra: due si trovano in India. Il primo è quello dei toda dell’India meridionale, il secondo, nel passato, tra i nayar del Malabar: la maggior parte degli uomini di questa popolazione erano appartenenti a una casta di guerrieri e venivano impiegati a tempo pieno dai signori locali, trascorrendo gran parte del tempo in accampamenti militari o in battaglia. Le donne nayar andavano spesso a servire nelle abitazioni dei brahmini e venivano prese come concubine dagli uomini di quella casta, considerato un grande privilegio. Queste donne potevano avere dei figli dai loro padroni, ma prima della pubertà venivano "sposate" a un uomo di un lignaggio con il quale il loro lignaggio intratteneva rapporti preferenziali. Terminato il periodo del servizio militare gli uomini tornavano al loro villaggio, come pure le ragazze, che a quel punto vedevano annullarsi il matrimonio precedente e potevano avere fino a 12 amanti o mariti, che avevano tutti il diritto di visitarla, ma "aspettando il loro turno": questo per garantire una riserva sicura per la riproduzione. Nel Tibet era diffuso un matrimonio poliandrico adelfico: la donna sposa un uomo e tutti i suoi fratelli, e il più anziano domina gli altri come fosse il padre, regolando così l’accesso sessuale alla moglie.
Presso alcune popolazioni esiste il levirato, istituzione che ha lo scopo di mantenere in vita l’alleanza nata dal matrimonio: se la donna rimane vedova potrà risposarsi con il fratello del marito defunto o con un suo figlio, che prenderà il posto del defunto; gli eventuali figli nati dalla seconda unione saranno considerati eredi del defunto. Tra i nuer esiste addirittura il matrimonio con un defunto: se un uomo muore prima di avere avuto la possibilità di sposarsi e avere dei figli, un suo fratello più giovane sposerà colei che sarebbe stata sua moglie, che sarà però considerata moglie del defunto, come pure i suoi figli. L’istituzione, oltre ad evidenziare il legame tra fratelli, contribuisce a rafforzare l’unità del lignaggio e a mantenere il principio di formazione dei gruppi di discendenza, alla base di molte società. Meno diffusa la pratica del sororato, dove un uomo vedovo dovrà sposare una sorella della moglie defunta.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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