Lo spettatore e la verità del testo filmico
Lo spettatore e la verità del testo filmico
È proprio questa doppia referenza, così come è introdotta, ad aprire il gioco all’incertezza e all’indeterminazione; è proprio questo momento di forza, nei modi in cui si realizza, a portar allo scoperto una debolezza di fondo.
La resa piena nell’enunciato di quello che è il suo presupposto e di quello che è il suo effetto, conduce tendenzialmente a confondere imitante e imitato. Infatti la concentrazione sulla scena di ciò che per sua natura o sta dietro le quinte o si pone in faccia allo schermo, porta ad abolire il senso delle distanze: la riduzione al puro presente di ciò che di per sé è stato o sarà, porta ad obliterare la scansione e la prospettiva.
Il recesso e l’estensione vengono allora appiattiti su di un’unica superficie, e la memoria e la previsione vengono riassorbite nell’attualità. Tuttavia le differenze sono irriducibili: un enunciato può squadernare i propri presupposti ma, una volta posti, essi richiameranno altri presupposti come condizione della loro presenza; un enunciato può rendere visibili i propri effetti ma, una volta dichiarati, essi apriranno la strada a nuovi usi di quanto viene man mano suggerito.
Un dietro e un davanti, un passato e un futuro, paiono dunque intrinsecamente necessari.
Ciò vale per il piano dell’enunciazione: al film capita di provar a dire tutto del proprio dire, magari come qui mediando accortamente la strada dell’autoriflessione con quella dell’exemplum1 – il principio che istituisce la confessione resterà nondimeno inconfessato –.
E ciò vale allo stesso modo anche per il piano della comunicazione: al film succede di provare a vedere al di là dei propri bordi, raffigurando i possibili impieghi cui va incontro – l’illustrazione di un comportamento non sostituirà comunque mai una concreta interazione –.
I nostri film
- da un lato disegnano uno spettatore pronto ad intervenire tra gli spiragli della diegesi, a rivedere quanto gli vien messo di fronte – magari per correggerlo –, a prevedere degli eventi – cui viene conferito così un carattere di necessità –;
- dall’altro ci suggeriscono che questo spettatore con in mano la partita, un po’ più in qua o un po’ più in là, può anche trovarsi a perderla. Le sviste, i miraggi, la cecità, non sono che i sintomi di un tale pericolo.
Ma la lezione si applica soprattutto a ciò che lo spettatore contribuisce direttamente a definire, la verità di un testo.
Ecco infatti emergere la funzione della verifica e le procedure della veridizione, chiarirsi la loro crucialità, definirsi la parte che vi svolgono l’enunciatario e il narratario, ma anche l’enunciatore e il narratore.
Ed ecco nello stesso istante sfrangiarsi i margini della costruzione, aprirsi dei buchi improvvisi, lievitare delle incertezze.
Quel che conviene fare allora è concludere con delle domande: la verità di un testo è una proposta piena, o è una miscela di predeterminazione e di azzardo che solo dei sintomi riescono a calcolare? Più radicalmente: essa è qualcosa che il testo può porre sulla base delle proprie forze o qualcosa che non si riduce a un’abile manovra
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Dettagli appunto:
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Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Semiotica dei media
- Docente: Guglielmo Pescatore
- Titolo del libro: Dentro lo sguardo - Il film e il suo spettatore -
- Autore del libro: F. Casetti
- Editore: Bompiani
- Anno pubblicazione: 1986
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