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La concettualizzazione della monarchia spagnola (Domingo de Soto)


Altre due furono le repliche alla pretesa che l'imperatore fosse signore di tutto il mondo. Furono repliche che ebbero conseguenze di ampia portata sulla futura concettualizzazione della monarchia spagnola.  La prima fu di Domingo de Soto che nel quarto libro del suo grande trattato sul diritto e la giustizia, il De Iustitia et Iure (1556), rilevava il serio malinteso che vi era stato attorno alle asserzioni di Sant'Agostino, secondo cui l'impero romano era un premio elargito da Dio ai suoi membri. Per Soto il discorso era falso perchè l'Impero era stato una pura creazione umana e solo umana, limitata, come tutte le creazioni del genere, nel tempo e nello spazio. Vero è che l'autorità imperiale supera ed eccelle fra tutte ma non ne segue che sia la sola a dominare il mondo. Pretese di sovranità che si riferiscono ad un certo momento storico non possono estendersi nel tempo all'infinito. Se Soto era d'accordo sulla validità del passaggio di consegne da Roma a Costantino e da Costantino all'Impero d'Occidente, e quindi sulla validità dell'esistenza di un legittimo imperatore di tutti i cristiani, non era d'accordo sulla rivendicazione di tale sovranità sul mondo intero. Per altro, se anche questa autorità fosse stata mondiale, l'imperatore avrebbe dovuto essere in grado di gestirla. Ma il dominium, mondiale o meno, è finalizzato all'utile ed è impossibile che l'imperatore sabbia tradurre in utile il suo impegno se esso si traducesse a livello di gestione mondiale. L'impero, dunque, sia limitato ai confini dell'impero romano.  Soto passa poi a esaminare i possibili significati impliciti nella parola che era la chiave del dibattito: terra, mondo. I giuristi sostengono che il termine sia dotato di un vasto spettro semantico, ma Soto non è d'accordo e affermava che esso significasse certamente il mondo nella sua interezza ma terra, dal punto di vista giuridico, significava esclusivamente un'area particolare e familiare, e nel caso degli imperatori romani, si trattava semplicemente dei limiti territoriali della loro giurisdizione, nella stessa maniera in cui oggi noi parliamo di Nuovo Mondo e Nuova Terra: nessuno supponeva che quegli spazi fossero nuovi in sé: erano nuovi solo per noi. I romani, citando un verso di Lucano (siete giunti, arabi, in un mondo a voi sconosciuto) erano del tutto consapevoli di quest'uso. Perciò la lex Rhodia di Antonino Pio voleva ribadire la propria sovranità sulle terre su cui già regnava per passaggio di proprietà.  Soto spostava i termini del dibattito a proposito dell'universalismo da un piano escatologico ad un piano naturale. I fatti dell'impero romano e medievale appartenevano prima al disegno divino della creazione e dovevano essere co – estesi ad essa, in modo che un giorno sarebbero ritornati a Dio. Per Soto invece l'impero è una entità naturale che esiste solo nel tempo cronologico, ma un impero universale che fosse solo mera creazione umana (che fosse solo un fatto), esistente solo nel tempo naturale, non poteva essere reale. Soto quindi nega la legittimità ontologica dell'impero universale privandolo dell'attributo divino, riducendolo a semplice respublica, che come tale era di estensione limitata e soggetta alla necessità contingenti.


Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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