Il mondo del libro per Roland Barthes
Barthes, in Critica e verità, diceva che il libro è un mondo. Davanti al libro il critico si trova nelle stesse condizioni di parola in cui si trova lo scrittore davanti al mondo. In base a questa affermazione, cioè che il libro è un mondo, deduceva che lo scrittore e il critico si trovano in una situazione simile, e che la letteratura di primo e secondo grado erano la stessa cosa.
È una teoria tutta a vantaggio del critico, che sostiene che quest'ultimo sia uno scrittore in tutto e per tutto, perchè parla del libro così come lo scrittore parla del mondo. La difficoltà sta nel fatto che Barthes sostiene tuttavia che lo scrittore, di fronte al mondo, non parla del mondo ma del libro, perchè di fronte al mondo il linguaggio è impotente.
Il critico sta di fronte al libro come lo scrittore davanti al mondo, ma lo scrittore non è mai veramente di fronte al mondo perchè tra lui è il mondo c'è sempre il libro. La proposizone il libro è IL mondo è reversibile, e non è l'autentica premessa della teoria, non è in grado di dare una fondazione logica alla parentela, all'identità addirittura, tra critico e scrittore. La vera premessa è il libro è UN mondo, oppure il mondo è già un libro, perchè solo così può essere conforme a quanto diceva Barthes sulla arbitrarietà della lingua e per giustificare la sua identità tra critico e scrittore.
Il rifiuto della realtà forse non è stato altro che, appunto, un rifiuto, o quello che Freud chiamava disconoscimento, cioè un rifiuto che coesiste con la convinzione incrollabile che il libro parli “comunque” del mondo, o che costituisca un mondo, o un “quasi mondo”.
La verità è che il reale non viene mai estromesso del tutto dalla teoria letteraria. Può anche darsi che il rifuto della referenza da parte dei teorici non sia altro che un alibi per poter continuare a parlare di realismo e non di poesia pura, di romanzo puro, malgrado la loro adesione formale al movimento letterario modernista e avanguardista.
In questo modo la narratologia e la poetica sono state autorizzate a continuare a leggere buoni romanzi veri, ma senza sporcarsi le mani, senza assaggiare quel vino, senza lasciarsi ingannare. La rappresentazione avrebbe avuto come fine il mito, perchè al mito si crede e non si crede. Il mito è stato alimentato da qualche frase tratta da Stephane Mallarmè, come tutto, al mondo, finisce per finire in un libro.
Paul de Man fa però tuttavia notare che anche in Mallarmè il reale non si allontana mai completamente a vantaggio di una logica puramente allegorica. Se Mallarmè chiede un limite non referenziale della poesia, e di fatto tende a ridurre il ruolo della referenza nella poesia, la sua opera non si situa in corrispondenza di tale limite – che finirebbe per renderla inutile – ma più o meno lontano dall'asintoto che vi conduce. Mallarmè rimane un poeta della rappresentazione perchè la poesia non rinuncia alla sua funzione mimetica per così poco. Dobbiamo abbandonare questa logica violenta e binaria tra descrizione e narrazione o rappresentazione e significazione, perchè non fa altro che mandarci a sbattere contro i mulini a vento. La letteratura è invece il luogo privilegiato della via di mezzo, del passaggio aperto nel muro di cinta.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
[Visita la sua tesi: "Le geometrie irrequiete di Fleur Jaeggy"]
[Visita la sua tesi: "Profezie inascoltate: il "Golia" di Giuseppe Antonio Borgese"]
- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Teoria della letteratura
- Docente: Prof.ssa Rosalba Galvagno
- Titolo del libro: Il demone della teoria
- Autore del libro: Antoine Compagnon
- Editore: Einaudi
- Anno pubblicazione: 2000
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