L'interpretazione della mimesis negli ultimi due decenni
La riabilitazione della mimesis, intrapresa negli ultimi due decenni, passa per una terza lettura della mimesis di Aristotele. Si sostiene che la mimesis per Artistotele, a differenza di Platone, che vi vedeva in essa una copia della copia, non fosse passiva, ma attiva. La mimesis, secondo quanto detto nel capitolo IV della Poetica, era un tirocinio: l'istinto di imitare è connaturato agli uomini sin da fanciulli; la sua natura è estremamente imitativa, e per imitazione si procura i primi apprendimenti.
La mimesis è dunque strumento di conoscenza; rappresenta lo strumento attraverso il quale l'uomo abilita il mondo. Rivalutare la mimesis, vuol dire rivalutare, sottolineare il legame con la conoscenza che esso ha. È un argomento trattato principalmente da Northrop Frye e Paul Ricoeur.
Frye, in Anatomia della critica, per liberare la mimesis dal concetto di copia, insiste su tre termini trascurati troppo spesso nella Poetica:
- Mythos. Il mythos - il racconto, l'intreccio – era per Aristotele la composizione degli avvenimenti, o dei fatti, disposti a formare – aggiungiamo noi – un intreccio lineare o una sequenza temporale. Frye, piegando verso la antropologia, deduceva da questa definzione che la finalità della mimesis non era copiare, ma stabilire rapporti tra fatti che, se non disposti in quel dato modo, sembrerebbero puramente aleatori; rivelare una struttura che renda gli avvenimenti intelligibili, e con ciò dare un senso alle azioni umane.
- Dianoia. La dianoia è il pensiero, l'intenzione o il tema. Secondo la definizione di Aristotele: quei discorsi in cui si dimostra com'è o come non è una certa cosa. In altre parole è l'interpretazione offerta al lettore o allo spettatore, che passa a comprendere l'unità della storia non più sulla vase della sequenza temporale dei fatti ma sulla base del senso o del tema.
- L'anagnorisis. Il riconoscimento. Nella tragedia, dice Aristotele, la anagnorisis è un mutamento da ignoranza a conoscenza. Vale a dire il momento in cui l'eroe prende coscienza della situazione.
Posta questa introduzione diciamo che Frye passa, saltando un po' di passaggi, dal riconoscimento compiuto dall'eroe ad un ipotetico riconoscimento compiuto dal lettore o dallo spettatore. Avendo attribuito al lettore una funzione di riconoscimento, Frye sostiene che l'anagnorisis, e quindi la mimesis, di cui fa parte, producono un effetto al di fuori della finzione, vale a dire sul mondo. Perchè? Perchè accanto al riconoscimento compiuto dall'eroe, ne avviene un altro: quello del tema, da parte del lettore, nel recepire l'intreccio.
Il lettore fa propria l'anagnorisis come riconoscimento della forma totale e della coerenza tematica. Il momento del riconoscimento per il lettore, è quindi quello in cui si coglie retrospettivamente il disegno intelligibile della storia, in cui il rapporto tra l'inizio e la fine diventa manifesto, il momento in cui il mythos si fa dianoia, forma unificatrice, verità generale.
Sembrerebbe una efficace interpretazione, e lo è, ma commette l'errore di spostare il riconoscimento dall'interno all'esterno della finzione.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
[Visita la sua tesi: "Le geometrie irrequiete di Fleur Jaeggy"]
[Visita la sua tesi: "Profezie inascoltate: il "Golia" di Giuseppe Antonio Borgese"]
- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Teoria della letteratura
- Docente: Prof.ssa Rosalba Galvagno
- Titolo del libro: Il demone della teoria
- Autore del libro: Antoine Compagnon
- Editore: Einaudi
- Anno pubblicazione: 2000
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