Panafricanismo e negritudine
Negli stessi anni in cui si scopriva che la Liberia non avrebbe risposto alle grandi aspettative che aveva suscitato cominciava a prendere il via la corsa all’Africa e si spegnevano gli ultimi residui del fenomeno della tratta degli schiavi. Gli intellettuali africani erano divisi: taluni vedevano positivamente il colonialismo quale fenomeno temporaneo per modernizzare l’Africa nera, ma la maggior parte cominciò a preoccuparsi seriamente. Reversibile Johnson (1838-1917) visse in prima persona la contraddizione drammatica di quegli africani che nei possedimenti inglesi cessavano di essere africani senza riuscire a diventare europei. John Mensah Sarbah (1864-1910) cercò di conciliare i due mondi in conflitto salvando il meglio dell’uno e dell’altro. Samuel Richard Brew Attoh-Ahuma (1863-1921) per dimostrare di aver capito fino in fondo il colonialismo, abbandonò la parte europea del suo nome per quella africana. Pixley ka Isaka Seme (1880-1951) fondatore nel 1912 assieme ad altri intellettuali africani del African National Congress, magnificò l’Etiopia di Menelik e il regno zulù come esempi della rigenerazione africana. Citiamo queste posizioni solo per dare un’idea generale di come fosse variegato il mondo intellettuale africano di fine ottocento.
Ad inizio novecento fu chiaro a tutti che le potenze europee erano andate in Africa per restatici e che la loro presenza stava distruggendo la cultura e la tradizione nera. L’indipendenza pareva un obiettivo cosi irraggiungibile che fino alla fine della prima guerra mondiale nei vari congressi di intellettuali africani si parlava soprattutto di come combattere fame, malattie ed analfabetismo, oppure di come salvare e promuovere la cultura africana, di come ridare dignità ai neri. In Europa e America si diffuse il panafricanismo: i neri americani cominciarono a lottare e a costituire associazioni per i loro diritti. Inoltre cominciarono ad allestire congressi sui problemi dell’Africa nera, cercarono di riscoprirne e a valorizzarne al cultura. Si cominciò insomma a parlare dell’Africa e del suo futuro. Il nazionalismo si sviluppò in senso proprio solo dopo la seconda guerra mondiale, quando le condizioni per l’indipendenza cominciarono a delinearsi. L’importante è sapere che esso prese le mosse dal panafricanismo e dalla negritudine sviluppatesi nella prima metà del XX secolo.
Diversamente dal panafricanismo, che si colloca più in una dimensione politica, la negritudine è un tentativo di valorizzazione di tutto ciò che è prettamente africano. Elaborata soprattutto da intellettuali francofoni, la negritudine agisce sulla considerazione che i neri hanno di sé e della propria civiltà. Vuole che essi si riscoprano in essa con fierezza, tanto che i teorici della negritudine amavano dirsi negri, esprimendo con il termine il loro orgoglio culturale e razziale. Inevitabile è il riscontro politico: l’indipendenza culturale non può non implicare anche l’indipendenza politica. La negritudine vuole un Africa libera, indipendente ed orgogliosa di sé, che interagisce e trova un suo posto nella civiltà universale.
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