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La prima guerra persiana (490 a.c.)

La prima guerra persiana (490 a.c.)

La convinzione dei greci non era sbagliata: la natura universale dell’Impero persiano e il principio strategico fatto proprio da ogni generale, secondo il quale la conquista di un paese non è mai sicura se non è seguita da quella dei paesi con i quali confina, costringevano in qualche modo Dario a muovere guerra contro la Grecia. Così, nell’estate del 490 - raccontano le fonti greche - un immenso esercito di 200'000 uomini, comandato dai generali Dati e Artaferne e caricato su una flotta di 600 navi, dopo aver attraversato l’Egeo conquistando tutte le isole che incontrava ed aver distrutto Eretria, sbarcò finalmente sulle coste dell’Attica, con l’obbiettivo di radere al suolo Atene (vedi mappa alla pagina seguente). 
Comprendendo di trovarsi in una situazione disperata l’assemblea cittadina decise di inviare contro i persiani tutto l’esercito, costituito da appena 10'000 opliti, e ne affidò il comando al suo miglio generale, Milziade, che in passato era stato tiranno di una città della Tracia, dove aveva avuto occasione di osservare il modo di combattere dei persiani. Furono anche inviate richieste urgenti di aiuto alle altre polis greche: ma eccetto la piccola Platea nessun’altra si fece avanti. Sparta dal canto suo, promise che avrebbe inviato un esercito dopo sei giorni, poiché nell’immediato essendo in corso la festività di Apollo, era vietato ai suoi cittadini di combattere. 
Tuttavia già i greci si erano posizionati sulle alture che sovrastavano la piana di Maratona, dove era accampata l’armata persiana. Furono questi ultimi a prendere l’iniziativa della battaglia, risalendo i pendii per snidare e distruggere le esigue forze greche. Ma a questo punto gli opliti reagirono, discendendo di corsa le alture in ranghi serrati e riuscendo a spezzare l’esercito persiano che fuggi disordinatamente sulle navi per ritornare in patria. Il miracolo era stato reso possibile dalle qualità della formazione a falange, che contro un esercito come quello persiano, che combatteva senza assumere particolari formazioni, triplicava la sua forza d’urto, e ancor più dalla grande tenacia che i combattenti greci seppero dimostrare in quello scontro: per loro non si trattava di una battaglia qualsiasi, erano consapevoli che la posta in gioco era la salvezza della nazione: il loro assoluto senso di responsabilità verso la patria fu la vera forza dei greci a Maratona. 

LE CONSEGUENZE DELLA VITTORIA

La risonanza della straordinaria vittoria ateniese ebbe tre importanti conseguenze: la prima fu che fece morire di vergogna gli spartani, che nonostante la loro tradizione militare non avevano avuto alcun ruolo nel salvataggio della nazione. La seconda fu che per la prima volta i greci vincevano i persiani in campo aperto, dimostrando che potevano resistere anche ad un impero immenso e forte come quello di Dario. E terzo, la vittoria di Maratona segnò il momento più intenso di unione fra i greci: la presenza di un nemico comune e terribile aveva permesso alle polis di sospendere le lotte fratricide, riscoprendosi figli di una medesima cultura, come forse non accadeva dal tempo della guerra di Troia. La contrapposizione ai persiani era vista già allora come uno scontro fra civiltà: da una parte il mondo delle polis e dei cittadini, dall’altra l’impero centralizzato di sudditi. Dividersi significava perdere e perdere significava morire: la fine della civiltà e la fine della libertà. La guerra contro i persiani fu vissuta in maniera intensissima dai greci poiché essi non lottarono per la propria sovranità politica, ma per la salvezza della propria civiltà. Una lotta molto differente.

Tratto da STORIA DELLA GRECIA ANTICA di Lorenzo Possamai
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