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La distruzione legale degli archivi


Che la distruzione legale faccia parte della conservazione è, al di la della sconcertante contraddizione tra i due termini, elemento costante nella norma e nella pratica archivistica italiana e non. Ovviamente la documentazione archivistica non può essere conservata nella sua totalità, se non altro per motivi di spazio e/ disponibilità finanziarie, soprattutto quella che caratterizza il secolo del Novecento il quale ha visto crescere in maniera esponenziale le sue dimensioni quantitative. Dunque la normativa fin dai primi anni del Novecento ha avvertito l’esigenza di effettuare operazioni di scarto prima che la documentazione fosse destinata presso gli istituti conservativi e dunque“consacrata all’eternità” attribuendogli valore di memoria fonte. Il parametro generale cui si è fatto finora riferimento nella pratica distruttiva è la tendenza di non voler recare danno alla storia e all’amministrazione, cioè senza danno alla documentazione in quanto memoria fonte (significato storico culturale) né in quanto memoria auto documentazione (valore pratico amministrativo). Il danno all’amministrazione non è stato quasi mai rilevato, specie per il Novecento (es. del funzionario), non si attribuisce alla documentazione valore di praticità e utilità per cui non si sente il bisogno di conservare le carte per più i un breve periodo (conservare più che distruggere procura danno). Il danno alla storia invece è stato di tanto in tanto rilevato: se si è convinti che qualsiasi documento prodotto come memoria auto documentazione possa essere utilizzato anche come memoria fonte (e in via di principio non si può sostenere il contrario), cioè se si è convinti che maggiore accumulo di documenti equivalga a una
sedimentazione di conoscenze storiche, allora qualsiasi tipo di distruzione (volontaria e non) procura danno alla storia. Conservare tutto e non distruggere nulla è la filosofia di quelle tesi che nell’ambito della letteratura d dottrinaria sono state definite di tipo massimalista, che hanno avuto in passato scarsa fortuna e oggi sono pressoché desuete. Se invece si ritiene che le tesi massimaliste siano in teoria condivisibili, ma di fatto impraticabili, e dunque si vede nello scarto l’unica alternativa possibile, allora le distruzioni legali procurano si danno alla storia, ma si tratta di un danno calcolato, forse necessario. Distruggere con cautela, moderazione, è la filosofia di quelle tesi che sono state definite possibiliste, le quali hanno influenzato la pratica distruttiva della memoria documentaria. Da qualche tempo in Italia si è andata diffondendo l’idea che gli archivisti dovessero essere presenti nell’ambito dei processi di formazione della documentazione stessa per poter definire già in questa fase i criteri relativi alla sua selezione. L’orientamento di massa nello scegliere le carte da conservare e quali non è quello che si può procedere all’annullamento degli atti purché di questo ne rimanga memoria in altri da conservarsi. Alcuni orientamenti hanno finito per essere meramente tautologici (si può scartare ciò che è inutile conservare), talaltra hanno finito per dare indicazioni di massima circa buona parte della documentazione contemporanea segnata da ridondanza di vario genere (copie, duplicati, documenti ripetitivi, di carattere preparatorio, ecc..). Fino alla metà dell’800 gli scarti, avevano soprattutto colpito la documentazione del passato; ora che nel passato è stata collocata pressoché tutta la documentazione appartenente a periodi precedenti all’Unità d’Italia, in quanto testimonianza della sua lunga e travagliata storia, è soprattutto quella recente e contemporanea a essere interessata da possibili scarti e distruzioni.

Tratto da GLI ARCHIVI TRA PASSATO E PRESENTE di Alessia Muliere
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