Epilogo della Palestina ebraica

La comunità degli ebrei deportati a Babilonia riuscì comunque a mantenere la propria identità religiosa, soprattutto grazie all'azione del profeta-sacerdote Ezechiele, che indirizzò i compagni di esilio verso una religiosità di carattere spirituale. La speranza di un ritorno nella patria perduta si concretizzò nel 538 a.C., quando l'imperatore persiano Ciro il Grande, un anno dopo la sua conquista di Babilonia, restituì agli ebrei la libertà, consentendo il rientro in Palestina di una comunità di circa 42.000 individui. Guidati da Zorobabele, raggiunsero Gerusalemme determinati a ricondurre, sul-l'onda della predicazione dei profeti Aggeo e Zaccaria, la loro terra all'antico splendore. Si giunse così, nel 516, alla ricostruzione del tempio, e a questa data la tradizione ebraica fa risalire la fine della cattività babilonese, attribuendole la durata convenzionale di 70 anni, dal 586 al 516. Anche se lentamente l'opera di ricostruzione della Palestina procedette nei decenni successivi, fino al 445, anno in cui Neemia, un funzionario persiano, assunse la carica di governatore esautorando gli ebrei della larga autonomia di cui avevano fino ad allora goduto. Privati dell’autonomia politica gli ebrei concentrarono tutte le loro energie sulla comune fede religiosa, che divenne un fortissimo elemento di legame ed identificazione.

Nel 331 a.C. l’Impero persiano crollò di fronte ad Alessandro Magno e la Palestina entrò a far parte dell’Impero macedone. È  in questo periodo che molti ebrei si sparpaglieranno per l’Impero rivelandosi abili nelle attività economiche. Alla morte del sovrano la Palestina passò nelle mani dei generali macedoni che si spartirono l’impero, riuscendo nel 170 a.C. a rendersi indipendente. E tale rimase fino al 63 a.C., quando l’armata di Pompeo, sfruttando divisioni interne al piccolo stato, sottomise con facilità la regione, che divenne provincia romana. E qui ci fermiamo.