Platone, Tacito e Bacone in Vico

In Platone, Vico vede il filosofo che contempla l'uomo come "deve essere", tuttavia Platone non ha considerato le barbare e rozze origini dell'uomo, trascurando il percorso accidentato attraverso cui l'umanità deve necessariamente passare per realizzare una società conforme al modello da lui indicato. In Tacito, Vico vede all'opposto lo storico che rappresenta ruvidamente e senza infingimenti l'uomo "qual è", ma senza coglierne il senso complessivo. E' nel pensiero di Bacone che il filosofo napoletano vede realizzarsi la giusta congiunzione tra metafisica e storia, o tra verità ideale e certezza fattuale. Vico si è posto sul finire del 1600, agli albori dell'illuminismo, aprendo una porta che ancora mai nessuno aveva aperto, arrivando a chiedersi se tutte le forme di cultura, compresa la storia possono spiegarsi attraverso il metodo matematico. Si accorge che è questa un'operazione azzardata. Si arriva in questa maniera alla celebre teoria del verum-factum. Questa afferma che è possibile conoscere qualcosa con verità solo da parte di chi ne è l'autore, quindi Dio conosce con verità il mondo, perché avendolo creato, sa come si compongono gli elementi nella sua costruzione. La mente umana invece, trova la realtà naturale già fatta, essa si presenta all'uomo come qualcosa di estraneo, per Vico l'uomo è artefice del "mondo delle nazioni", ossia dell'insieme delle civiltà che si sono succedute nel corso del tempo (Cartesio, invece aveva considerato il sapere storico inutile, e incerto). In Vico, però il " mondo delle nazioni" non è un prodotto dell'uomo nel senso che esso sia una costruzione arbitraria e convenzionale, delle civiltà umane che si presentano nella storia, l'uomo è fabbro, mentre Dio, è architetto. La condizione dell'uomo che fa la storia è assimilabile a quella di una attore che calca il palcoscenico del "gran teatro dei mondo" e traduce in gesti e parole il testo prodotto dal drammaturgo.