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La "Zattera di nessuno": un'esperienza di teatro-danza


“La Zattera di Nessuno”, un laboratorio di teatro-danza in forma di Viaggio che ricorda il lungo peregrinare di Ulisse nell’Odissea. Il laboratorio si presenta come un viaggio di ritorno al “corpo-casa”, un viaggio fatto di arresti e di cambiamenti di rotta, ispirato al “Grande Viaggio” di Omero, da cui sono tratti gli incipit delle nove tappe che lo costituiscono.
Le tappe si immaginano dislocate lungo le coste del bacino del Mar Mediterraneo. Mare che, nel suo lambire allo stesso modo coste diversissime, ci insegna la vicinanza. Avvicinare il corpo dell’altro seguendo l’esempio del Mediterraneo significa, nella Zattera di Nessuno, imparare a riconoscere e rispettare il nostro grado di apertura e quello di chi ci è accanto poiché, come le coste del bacino mediterraneo, siamo diversissimi tra noi. Il lavoro dei primi tre approdi è rivolto specificamente al corpo del “viaggiatore”, quello dei tre successivi alla scoperta della relazione con il corpo dell’altro, gli ultimi tre approdi sono rivolti alla coralità. Ogni incontro si apre con una partitura gestuale da eseguire su una sedia, una poesia per il corpo seguita da camminate e esercizi di contatto e di condivisione dello spazio fisico. Segue un lavoro sulla prossemica finalizzato alla consapevolezza della comunicazione con l’”esterno”: l’ascolto, lo sguardo, la presenza. Inoltre, il ricorso all’uso di materiali, quali bastoni, foulard, palline, monete, cartoline e oggetti vari, funge da stimolo alla creatività corporea e narrativa di ogni viaggiatore.
La partenza dal delta del Po
Alla partenza ogni viaggiatore sceglie un nome facile da ricordare, un nick-name con cui presentarsi ai compagni. Disposti in un cerchio, lanciandoci prima un bastone, poi una pallina, quindi un tessuto rosso, ci comunichiamo, al fine di impararli a memoria, i nick—names di viaggio, sperimentando tra l’altro come oggetti diversi, per peso e forma, richiedano un’attenzione particolare, una differente sensibilità corporea, nel lancio come nella presa. È situata al delta del Po perché come un fiume, progressivamente e dolcemente, arriveremo col tempo al “mare” (alla condivisione e alla relazione).
Propongo delle camminate nelle diverse direzioni della sala; una volta presa confidenza con lo spazio, ognuno presta più attenzione alla propria andatura, decide le direzioni, ascolta il ritmo generato dal passo, avverte la presenza, lo sguardo degli altri.
In piedi, in cerchio, chiedo a un compagno dopo l’altro di improvvisare un gesto senza pensarlo. Un “gesto-geroglifico”, che, unito a quello degli altri viaggiatori, darà vita alla “coreografia della partenza’ Ripeteremo questa prima composizione a ogni tappa del viaggio, per alimentare la padronanza, il perfezionamento del gesto personale e quel piacere tipico delle danze di gruppo.
I viaggiatori sono introdotti al riscaldamento vocale, stimolato da fiabe e racconti noti. Alla fine dell’incontro, ognuno scrive, o disegna sul diario (anonimo) di viaggio da chi o da che cosa “sta prendendo le distanze”.
La magia a Tabarka
Uno degli esercizi interessanti di questa seconda tappa consiste nel prestare la propria corporeità al mondo animale. Pensiamo e interpretiamo con il corpo dapprima un animale che vorremmo essere, che riteniamo affine a noi per i più svariati motivi, poi, all’opposto, un animale del quale abbiamo ribrezzo e/o paura.
Con il corpo e poi con la voce iniziamo a sperimentare la nostra capacità di esagerare e di alterare, per gioco, la nostra natura. Nel diario di viaggio scriviamo oggi cosa vorremmo cambiare della nostra vita, se avessimo la bacchetta magica.
L’oblio ad Alicante
Servendomi di un nastro adesivo colorato delimito a terra un rettangolo che, ampio nelle prime tre tappe, verrà ridotto per il lavoro in coppia e decisamente ristretto nelle tre tappe finali.
Ci si dispone a coppie. Uno dei due è bendato, affinché l’altro lo possa condurre in un ballo sfrenato, permettendogli di sperimentare la vertigine e la fiducia... Nel successivo spazio dedicato al racconto, i viaggiatori sono invitati a “ubriacare” uno dei personaggi delle favole per fargli raccontare la vicenda dal suo punto di vista alterato. La bravura del narratore consisterà nel non perdere le redini dell’improvvisazione narrativa e portare a compimento l’intera vicenda con tutti i suoi personaggi.
Il grande e il piccolo a Stromboli
È questa una tappa per riconoscere i punti sia nel fisico che nel carattere in cui avvertiamo di essere forti o deboli. Solo prendendo confidenza cori i nostri limiti potremo trasformarli in punti di forza. Durante le nostre camminate nello spazio, dopo aver affiancato un compagno, uno si abbandona all’altro cedendogli il proprio peso; il compagno deve sostenerlo, senza interrompere il suo incedere. Compare in questa combinazione che permetterà a turno di sperimentare ora la possibilità di accudire e sostenere, ora di essere aiutato o coccolato.
La tempesta (o della madre) a Timsah
Bendati di rosso, alcuni compagni vengono condotti nello spazio. Dopo averne individuato uno, ne richiamiamo l’attenzione. Trovato il compagno-guida, coloro che sono bendati gli affidano un solo dito della mano attraverso il quale esplorano l’esterno, toccando le screpolature del muro, il profilo di un orecchio, le stringhe di una scarpa; poi una volta accovacciati a terra, vengono cullati dall’angelo-guida e dal suo canto muto. Incontriamo la nostra infanzia, i giochi e le carezze che l’hanno popolata. In cerchio, evochiamo il tono di voce di nostra madre, da quello perentorio a quello flautato; lo cantiamo, variandone il volume. Una lettera indirizzata a nostra madre le dirà quello che mai abbiamo osato dirle.
L’amore a Creta
Dopo le camminate nello spazio, ognuno è invitato a eseguire intorno al corpo di un compagno una sorta di danza di corteggiamento; dopo avergliela insegnata, si dispone ad apprendere a sua volta quella dell’altro; la sequenza di questi gesti darà vita a una piccola coreografia. Una volta riscaldata la voce, il gruppo intona una canzone d’amore.
Ogni narratore attinge dalla propria esperienza in coppia. Nel diario di viaggio vi è oggi l’opportunità di un’jaccuse, per il poco amore ricevuto da qualcuno.
L’immobilità (o del corpo legato) a Zacinto
Ridotti nello spazio e nel movimento anche noi presteremo il corpo e la voce a forme antropomorfe sperimentando come grazie al limite si riesca a comprendere la vera natura del movimento.
Seduti sulla sedia, ma obbligati a non appoggiare i piedi a terra sperimentiamo la nostra capacità di creare figure in movimento; dopo aver praticato in questa direzione, scegliamo e memorizziamo quattro figure in sospensione cercando i collegamenti più consoni e armoniosi. Nel tempo assegnato i compagni dovranno anche inventare cosa far dire alla propria sirena, sceglierne il tono di voce e lo stato d’animo dando vita a un vero e proprio personaggio teatrale.
Il grande racconto a Smirne
Nella sala iniziamo un lavoro sulle memorie, ripassando la partitura stilla sedia, le coreografie in cerchio, la ritmica dei piedi. È un incontro dedicato alla coralità. In questo incontro prende grande spazio la sezione dedicata alla narrazione, non più solitaria ma corale. Nel diario di bordo ognuno scrive il suo personale “grazie” ai compagni e al viaggio.
Il ritorno al delta del Po
Ritorniamo allo stesso punto di partenza, arricchiti di nuove esperienze e strategie. La memoria poetica del corpo è praticata oggi nel silenzio più assoluto. In cerchio costruiamo la “coreografia del ritorno”: uno dopo l’altro faremo un gesto di libera invenzione, muovendoci nello spazio e cercando di concatenare il nostro movimento a quello di chi ci ha preceduto.

Tratto da I LABORATORI DEL CORPO di Anna Bosetti
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