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L'attività psicomotoria non giudicante


Quando entriamo in palestra o nello spazio “vuoto” che ci viene messo a disposizione, si percepiscono molteplici espressioni interlocutorie. Non ci sono le sedie o i banchi a disegnare la geometria delle relazioni, né segni evidenti di quello che si andrà a fare. Ci si trova tutti in abiti informali e comodi tra persone pressoché sconosciute che si teme siano, o possano essere, giudicanti, con le quali si percepisce di doversi mettere “in gioco”.
La presentazione iniziale è un momento delicato, importante: non è solo il “cosa” diciamo che può fare la differenza ma il “come”.
A nessuno è richiesta una prestazione. Non c’è l’obbligo di giocare, poiché il gioco non può essere obbligato. Non esistono modi adeguati, modelli rigidi, movimenti giusti o sbagliati nel gioco. Non verranno assegnati voti di espressività psicomotoria! Nel gioco vi è l’opportunità di scoprire l’importanza e l’utilità dell’ascolto nella relazione con sé, gli altri, l’ambiente.
Le attività precedono i momenti di verbalizzazione e di eventuale concettualizzazione, affinché i partecipanti possano riconoscere e portare all’attenzione del gruppo i propri vissuti. Il momento della verbalizzazione diventa così un modo per poter prendere distanza dal vissuto, cercando, attraverso parole che hanno ripreso corpo, un momento di comprensione e condivisione nel quale arricchirsi con e nell’ascolto dei vissuti degli altri, nel quale favorire e sviluppare la possibilità di fare coesistere punti di vista plurimi.
L’esperienza psicomotoria è uno spazio/tempo per ascoltare ed esprimersi senza ricorrere pregiudizialmente al pensiero e alla concettualizzazione. Le attività ludiche partono da consegne che non sono da intendere come compiti da eseguire, bensì come proposte da interpretare, perché ogni attività diventa piacevole e utile quando ci appartiene, quando è ciò che ci sentiamo di fare.
La psicomotricità, per definizione, si occupa di valorizzare le risorse di ogni soggetto; si tratta di evitare di compiere l’errore di cercare di destare in ciascuno proprio quelle virtù che non possiede, trascurando di coltivare quelle di cui dispone.

Tratto da I LABORATORI DEL CORPO di Anna Bosetti
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