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Rapporto tra mezzi e fini in Dewey



In questo senso non esistono dei valori che debbano essere acquisiti a ogni costo, ma qualsiasi valore può essere rifiutato nel momento in cui la sua realizzazione rende sproporzionato il rapporto mezzi-fini. Anche in questa cosa c’è forte interdipendenza tra mezzi e fini così che il mezzo non è inteso come qualcosa di estrinseco al fine ma una parte frazionaria di esso cioè una sua parziale realizzazione. Allo stesso modo è attraverso la consapevolezza del fine da raggiungere che vengono stabiliti i mezzi per perseguirlo. In questo senso se compio un lavoro che mi piace il mio lavoro non sarà svolto per un fine ben preciso (guadagnarmi da vivere) ma sarà esso stesso un fine in quanto gratificante di per sé. Queste considerazioni hanno un riscontro importante nell’arte. Un’opera d’arte non rappresenta soltanto il fine dell’artista ma è anche un mezzo per esprimere attraverso gli strumenti che utilizza la sua creatività; allo stesso tempo gli strumenti che utilizza non hanno un fine esterno a sé (come un martello che batte su un chiodo per fissarlo) ma vivono in relazione all’opera d’arte intesa come forma finale dell’insieme degli strumenti utilizzati.
Questa teoria ha infine un’altra conseguenza a livello gnoseologico: a differenza di quello che i neopositivisti avevano sostenuto (e cioè che i giudizi di valore non hanno alcuna valenza conoscitiva perché non partono dall’esperienza) D. sostiene che le proposizioni valutative possono essere ricondotte a ragionamenti ipotetici che pongono un problema (“se” usi questo strumento “allora” avrai questi fini) che è suscettibile comunque di verifica empirica.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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