Gang criminali e fascino sui profughi cambogiani
Non è che i profughi cambogiani, ragazzini compresi, non cercassero di trovarsi un impiego, ma per la maggior parte di loro — avendo un’istruzione inferiore a quella liceale e una conoscenza limitata della lingua inglese — l’unica possibilità era quella di continuare a ricevere il sussidio. Le loro competenze li relegavano nella classe sociale che era stata destinata loro dalle autorità preposte alloro inserimento: forza-lavoro a basso costo per l’economia americana postindustriale.
Intere generazioni di immigrati poveri dipendevano da salari guadagnati lavorando nei campi, nelle fabbriche, nei ristoranti, facendo i giardinieri o gli inservienti. Il reddito percepito dalle donne era decisivo quando il padre di famiglia non guadagnava abbastanza, quando faceva il lavoratore stagionale o quando era assente. Ma, nonostante un’apparente richiesta di posti di lavoro in fabbrica, il pregiudizio, lo sfruttamento e l’esclusione spinsero molti immigrati poveri verso attività illegali. Le gang criminali non erano certo una rarità
Gli immigrati del Sudest asiatico hanno constatato che l’economia americana dei servizi non permette agli immigrati poco qualificati di passare rapidamente a un tipo di impiego che serva a mantenere un’intera famiglia.
Impieghi e condizioni di reddito così precari tra gli adulti vanno ad aggiungersi al problema degli adolescenti che vengono seguiti troppo poco dai genitori, dato che la famiglia è ogni giorno alla ricerca di denaro. Le gang di tipo familiare tendono a proliferare nei quartieri ghettizzati. E in questi stessi quartieri i giovani imparano a tener testa alla violenza, a usarla a loro volta e ad assumere ogni tipo di atteggiamento da duri.
Mentre le madri e le sorelle si occupavano della casa e facevano lavori sottopagati, molti adolescenti cambogiani hanno iniziato a frequentare la strada. Era questa l’arena pubblica dove dovevano affermarsi come giovani maschi americani, cioè come individui duri e autosufficienti, capaci di ottenere, in un mondo di povertà, violenza e razzismo senza pietà, il rispetto degli altri gruppi etnici e forse anche del proprio
Davanti alla mancanza di disciplina nelle scuole dei quartieri poveri e all’incertezza per il futuro, nacquero così molte gang che costituivano forme di socialità estemporanee, finalizzate a ottenere il dominio della strada, l’accesso a denaro facile e la protezione dalle gang rivali.
La definizione che la polizia dà del termine gang è quella di un gruppo di tre o più persone che ha tra le sue attività principali il commettere crimini (assalti, rapine, omicidi, commercio di sostanze illegali, sparatorie, incendi dolosi, intimidazione di testimoni, furto di veicoli) e che ha un nome identificativo e altri segni di riconoscimento. Tale definizione è però troppo incentrata sulle tipologie dei crimini commessi, e non tiene conto della varietà di associazioni che possono rientrare sotto il termine gang. Inoltre non riconosce le grandi differenze di grado e tipologia che caratterizzano le attività criminali di una stessa gang o di gang diverse.
Alcuni membri di queste gang sono diventati imprenditori della strada per il semplice fatto che la facile disponibilità di armi e droga forniva mezzi illegali per raggiungere la ricchezza.
Non tutti i membri di una gang prendono parte ai crimini. Inoltre, le gang di strada perseguono una molteplicità di attività, sia lecite sia illecite, e si modificano nel tempo a seconda di svariate circostanze.
Nelle gang gli individui più ammirati sono quelli che, come veri e propri imprenditori di strada, si arricchiscono con l’economia della violenza e della morte.
Secondo la polizia la maggioranza delle gang cambogiane non era costituita da gruppi criminali consolidati, ma da piccole bande di quartiere che si limitavano a una gamma di reati minori contro la proprietà privata e combattevano per il dominio del territorio con le gang rivali. Nate negli anni Ottanta le gang cambogiane contavano generalmente dai cinque ai venti membri organizzati informalmente da capi che avevano tutti meno di trent’anni. Alcuni ragazzini cambogiani, che nelle scuole venivano emarginati o che sentivano il bisogno di protezione sia a scuola sia sulle strade dominate da altri gruppi etnici, lasciavano gli studi per entrare nelle gang. Alcuni di loro erano attratti dall’opportunità di fare soldi facilmente scassinando le auto.
Perlopiù i giovani appartenenti alle gang cambogiane non erano violenti. A volte i membri di queste gang rubavano macchine soltanto per prenderne l’autoradio o per divertimento: si ubriacavano o assumevano droghe. Il problema delle gang richiamò comunque l’attenzione della polizia, degli assistenti sociali e dei leader delle comunità cambogiane che cercarono di cooperare nel tentativo di ridurre alcuni problemi dei giovani.
Per i giovani cambogiani-americani diventare membro di una gang era il modo più ovvio per imparare ciò che serviva per diventare un americano adulto.
Ogni gang prendeva il proprio nome molto sul serio.
I ragazzini cambogiani usavano poi gli acronimi al posto dei nomi interi per riferirsi alle loro gang, in una specie di codice segreto intraetnico.
I leader delle gang cercavano di costruire il loro potere pubblico non solo coinvolgendo i ragazzi più giovani nelle attività criminali, nei modi di fare e nello stile da strada, ma anche utilizzando un gergo da gang e la lingua del ghetto per farsi una reputazione attraverso l’esagerazione dei successi personali. I giovani cambogiani consideravano la lingua del ghetto “una seconda lingua” che usavano fuori da scuola.
Il modo di vestire delle gang rappresentava il segnale di appartenenza a un gruppo. Questo tipo di abbigliamento era in effetti la prima forma di identificazione.
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Dettagli appunto:
- Autore: Anna Bosetti
- Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
- Facoltà: Scienze dell'Educazione
- Corso: Scienze dell’Educazione
- Esame: Antropologia
- Titolo del libro: Da rifugiati a cittadini
- Autore del libro: A. Ong
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