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I caratteri generali della tutela cautelare nel processo amministrativo


La tutela cautelare, anche nel processo amministrativo, ha sempre carattere di “strumentalità”: ha “lo scopo immediato di assicurare l’efficacia pratica del provvedimento definitivo”; realizza, così, l’interesse ad evitare che la durata del giudizio possa rendere praticamente inutile per il ricorrente la decisione finale.
In base ai principi generali, la concessione della misura cautelare da parte del giudice presuppone l’accertamento di un “fumus boni iuris” e di un “periculum in mora”.
Il primo elemento consiste in una valutazione sommaria sul merito della pretesa fatta valere dal cittadino con l’impugnazione.
In passato era risolto in un giudizio di “probabilità” di accoglimento del ricorso, ovvero in un giudizio di “non manifesta infondatezza” del ricorso stesso.
Era chiaro che, accogliendo la prima interpretazione, risultava maggiore il rilievo assegnato ai motivi del ricorso e l’accoglimento dell’istanza cautelare finiva con l’esprimere una prima valutazione del giudice circa la fondatezza del ricorso; invece, in base alla seconda interpretazione, la misura cautelare veniva esclusa solo in presenza di una evidente infondatezza del ricorso e, quindi, la valutazione del giudice sui motivi del ricorso finiva con l’assumere un rilievo meno pregnante.
Oggi, la legge Tar sembra accogliere la prima interpretazione.
Particolare rilievo assume, nel processo amministrativo, il profilo costituito dal “periculum in mora”.
La legge Tar identifica questo elemento nella possibilità di “danni gravi e irreparabili” derivanti dal provvedimento impugnato; tali danni devono essere specificamente allegati dal ricorrente nell’istanza di sospensione e perciò il giudice non può d’ufficio ipotizzarne l’esistenza né introdurli nel processo.
Nel giudizio promosso per l’annullamento di un atto lesivo di interessi legittimi, i “danni gravi e irreparabili”, ovviamente, non si identificano nel pregiudizio ordinario che consiste nella lesione dell’interesse legittimo: altrimenti la regola secondo cui il ricorso non ha “effetto sospensivo” risulterebbe contraddetta.
Il danno che giustifica l’accoglimento dell’istanza cautelare da parte del giudice amministrativo deve essere considerato in modo specifico, come danno determinato dal provvedimento amministrativo a un interesse materiale rilevante del ricorrente e qualificato dal carattere della “gravità” e della “irreparabilità”.
Questo carattere può essere verificato in senso “assoluto” (ossia in relazione al tipo di interesse pregiudicato dal provvedimento: distruzione di un bene, cessazione di un’attività, ecc…), ovvero in senso “relativo” (ossia in relazione all’incidenza del provvedimento alla luce delle condizioni soggettive del ricorrente: sanzione di ammontare esorbitante rispetto al reddito del ricorrente, ecc…).
Nello stesso tempo, però, il giudice amministrativo deve considerare anche i riflessi che produrrebbe la misura cautelare rispetto all’Amministrazione e rispetto ai controinteressati: il giudice amministrativo, ai fini dell’accoglimento dell’istanza cautelare, deve effettuare una valutazione “comparata” di tutti questi interessi, secondo criteri non codificati dalla legge e quindi sulla base de suo prudente apprezzamento.
La concessione o il diniego della misura cautelare può essere subordinato a una cauzione, a garanzia del pregiudizio subito dalla parte su cui grava la pronuncia del giudice; la cauzione non è ammessa, però, quando siano in gioco “interessi essenziali della persona, quali il diritto ala salute o all’integrità dell’ambiente”.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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