La plasticità e le prospettive terapeutiche delle cellule staminali
Fino al 1998 si ritenevano totipotenti (cioè capaci di dare origine a tutte le cellule dell’organismo) le cellule staminali embrionali e uni o multipotenti le cellule staminali adulte, a seconda che dessero origine ad un solo o a più tipi cellulari, comunque propri del tessuto in cui esse risiedono. In quell’anno fu pubblicato il primo di una serie di articoli che nel giro di due anni hanno modificato profondamente il concetto di potenzialità della cellule staminali adulte ed introdotto il concetto di plasticità. Cellule staminali del midollo osseo, che normalmente danno origine alle cellule mature del sangue, possono, in opportune condizioni e con bassa frequenza, dare origine a cellule muscolari scheletriche, cardiache o lisce, neuroni, epatociti e cellule epiteliali. Per di più cellule staminali neurali possono dare origine a cellule del sangue, cellule muscolari scheletriche e a molti altri tipi cellulari quanto trapiantate in un embrione di pollo. Questo fenomeno, definito plasticità ed esteso anche ad altri tipi di cellule staminali (mesenchimali, o isolate dal derma o dalla sinovia) ha importanti implicazioni applicative ma anche politiche ed etiche. In molte malattie genetiche o acquisite in età matura, le cellule staminali residenti nel tessuto colpito potrebbero essere state distrutte dal processo patologico o aver esaurito la loro capacità proliferativa e non essere quindi più disponibili per contribuire alla rigenerazione tissutale. In questi casi sarebbe utile poter isolare le cellule staminali da un altro tessuto, non colpito dalla malattia e utilizzarle per riparare il tessuto leso, dopo averle indotte a differenziare nel tipo cellulare necessario. Perché un simile procedimento possa divenire terapeuticamente efficace, sarà però necessario soddisfare tutte le seguenti necessità:
1. le cellule staminali devono essere isolate dal tessuto affetto (se possibile) o da un tessuto sano ma comunque clinicamente accessibile.
2. le cellule staminali devono essere isolate in numero sufficiente oppure espanse in coltura senza perdita di staminalità (capacità di auto-rinnovamento) e/o potenzialità differenziativa. Se necessario esse devono essere modificate geneticamente in vitro mediante introduzione di una copia sana del gene affetto dalla malattia (terapia genica ex vivo).
3. le cellule staminali devono essere veicolate al tessuto danneggiato in modo selettivo ed efficiente. A differenza del midollo (“homing” spontaneo dopo iniezione endovenosa) e dell’epidermide (applicazione topica di lembi di tessuto) tutti gli altri organi devono essere raggiunti o per iniezione intra-tissutate o per via ematica. La prima procedura è complessa e inefficiente poiché le cellule iniettate migrano poco e quindi numerosissime iniezioni sarebbero necessarie. La seconda, logicamente preferibile, richiede però che le cellule iniettate siano capaci di arrestarsi nell’organo bersaglio, di aderire e attraversare l’endotelio, una proprietà non ancora dimostrata per la maggior parte delle cellule staminali.
4. le cellule staminali devono sopravvivere nel tessuto danneggiato e differenziare con alta efficienza nel tipo cellulare richiesto, così da ripristinare le funzioni precedentemente danneggiate dalla malattia.
Ad oggi, queste necessità non sono ancora soddisfatte, né per le cellule staminali adulte (sia del tessuto danneggiato che di un diverso tessuto) né per le cellule staminali embrionali. Tuttavia elementi di natura etica e politica hanno infiltrato il dibattito scientifico sulla eventuale scelta tra cellule staminali embrionali ed adulte. Un’inopportuna e prematura enfatizzazione delle capacità differenziative, dimostrate o presunte, delle cellule staminali adulte aveva come fine dimostrare che lo studio delle cellule staminali embrionali non era più di primaria importanza e quindi da abbandonare, anche per evitare i problemi etici che esso comporta. Dall’altro lato, una serie di studi volti a smentire quelli sulla plasticità delle cellule adulte aveva come scopo principale mantenere la supremazia delle cellule staminali embrionali, giustificando quindi normative a finanziamenti a loro favore. Di fatto sarà saggio continuare a lavorare su tutti i tipi di cellule staminali in attesa che ulteriori dati sperimentali ci indichino il tipo di cellula staminale da preferire per una data patologia.
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Dettagli appunto:
- Autore: Domenico Azarnia Tehran
- Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
- Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
- Corso: Scienze Biologiche
- Esame: Biotecnologie cellulari
- Docente: Tocco
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